mercoledì 28 gennaio 2009

LA CASA COME IMMAGINE DEL SE'

(Simboli archetipici e luoghi domestici).

(tratto da C. Longo, P. Santillo, Architettura e Psicologia:alla ricerca dei luoghi dell’anima, in A.S.P., anno VIII, n.10, aprile 2001)

Carl Gustav Jung, quando volle descrivere la complessità dell’anima umana, utilizzò questa metafora: “è necessario entrare in un edificio e scoprire le sue varie fasi di costruzione. Il piano più alto potrebbe essere stato costruito nel XIX secolo, il piano terra risalire al XVI secolo. Un esame più accurato potrebbe indicare che l’edificio è stato costruito su una torre dell’XI secolo, nella cantina si potrebbero scoprire fondazioni romane, sotto lo strato superiore si potrebbero rinvenire oggetti di silice, mentre in quello più profondo i resti di una fauna glaciale”(1). Questa immagine, derivata da una illuminante esperienza onirica, per Jung dimostrava l’esistenza di un inconscio collettivo quale bagaglio archetipico dell’umanità. E’ forse per questo che tipologie costruttive così diverse e lontane dalla nostra cultura, dall’igloo degli eschimesi alla capanna della tribù africana, ci sembrano tuttavia così vicine alla nostra idea di casa. Quand’è, allora, che una casa “soddisfa” la nostra aspettativa? Probabilmente quando riesce a corrispondere all’idea inconscia, archetipica, di casa. Non è sufficiente che sia funzionale, spaziosa, comoda; deve soprattutto corrispondere ad un “modello interiore”, deve essere “calda”, deve “proteggere”, “nutrire”, “appagare”. Peraltro, i bisogni di ognuno di noi, e fra questi quello di abitare, avere un “tetto” sotto il quale vivere e “sentirsi bene”, non sono statici, ma si sviluppano contemporaneamente allo svilupparsi della personalità. Anche i disegni dei bambini ci danno la conferma dell’esistenza di un’idea interiore di casa. Il bambino, come l’uomo primitivo, non ha un modello esteriore cui ispirarsi, e se tenta di riprodurre ciò che vede, lo fa solo perché in questo modo può dare forma ad un’immagine che già esiste dentro di sé. In realtà il bambino nel disegnare la sua casa disegna se stesso, la sua anima, colorata di emozioni, paure, sogni. In questo processo il bambino utilizza alcuni simboli archetipici primordiali: il quadrato (la terra, è il corpo della casa: simboleggia anche l’uomo), il triangolo (il fuoco, il tetto: esprime una dinamica orientata verso il cielo), il cerchio (inizialmente posto sulla sommità del tetto, ben presto si stacca a disegnare il sole, il cielo: rappresenta il Tutto, l’Unità cosmica verso cui l’uomo si sente proiettato). Insieme a questi segni che danno forma alla casa, sono importanti altri simboli quali la mezzaluna (che simboleggia l’aria), la croce (la condizione umana, le due direzioni rispetto alle quali si organizza la casa a immagine dell’uomo), la spirale (tutti i primi scarabocchi dei bambini sono delle spirali, forma diffusissima in natura), le onde (tutto l’universo vibra con ritmi ondulatori) ed il punto (semplicemente una successione di punti può riprodurre un ritmo, e grazie al ritmo i suoni, come le forme grafiche, sono in grado di dare vita ed espressività).
In seguito compaiono altri elementi archetipici: il comignolo fumante (e quindi il focolare domestico, ma anche il sacro fuoco primordiale), gli alberi (l’identità, l’Io), gli animali (gli istinti arcaici, l’irrazionalità). L’architetto deve essere consapevole di tali significati e deve progettare anche in funzione di essi: il tetto rappresenta lo spirito, il legame con il cielo; i piani più bassi corrispondono alle funzioni più arcaiche e intuitive; la cucina è il luogo della trasformazione psichica; il focolare simboleggia il fuoco che sentiamo ardere dentro di noi; anche il giardino (con l’acqua e quindi una fontana, gli alberi, i fiori) fa parte della nostra casa interiore, che non può prescindere da esso.
La casa è dunque l’immagine del sé, e infatti la psicanalisi riconosce nei sogni sulla casa molteplici e profondi significati. Essa riproduce la più completa e antica manifestazione dell’anima, e in quanto tale dovrebbe soddisfare una necessità di espressione e anche proteggere la fragilità dell’essere nel suo sviluppo. La casa può rappresentare il caldo ventre materno o l’arido mare secco(2) di una maternità fisiologica che nessun calore riesce a dare al suo piccolo frutto. L’atmosfera, l’essenza di un’abitazione, non possono divenire percettibili se non su un piano spirituale ed intuitivo. “L’anima di un luogo è l’intangibile sensazione che questo comunica (…) Ogni luogo dovrebbe avere uno spirito…”(3). Questo “spirito” ci ricollega all’unità con il Tutto: “…le cose hanno la vita di coloro che le hanno fatte nascere, ma l’anima delle cose attinge a un patrimonio comune che risale alle origini dell’universo, dell’umanità e delle nostre rispettive civiltà(4).
Servendosi di pochi simboli archetipici, l’architettura può trovare la forma che rivela l’uomo a se stesso, può parlare all’anima di chi la guarda e soprattutto di chi la “vive”. Solo se riesce a fare questo possono cadere le barriere fra conscio ed inconscio, tra il dentro e il fuori, tra ciò che è razionale, convergente, logico e ciò che è irrazionale, divergente, illogico. Nel dialogo tra queste polarità, l’architettura diventa creazione e non semplice costruzione. Ogni architetto dovrebbe conoscere il linguaggio universale della casa.
(1) O. Marc, Psicoanalisi della casa, Red ed., Como, 1994, pag.19.
(2) A. G. Caputi, Il mare secco, in A.S.P., Rivista di Psicoterapia ad orientamento analitico, n.8, aprile 1999, pag.4.
(3) Day, La casa come luogo dell’anima, Red ed., Como, 1990, pag.158.
(4) O.Marc, op.cit., pag.16.

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Questo è il mio blog più personale. Sono un ingegnere, laureato nel 1990 presso l'università degli studi di Napoli, orgoglioso dipendente della P.A., felice di poter svolgere un servizio di pubblico interesse, ed impegnato anche nella diffusione delle tematiche che più mi appassionano: difesa dei BENI COMUNI, sostenibilità, bioarchitettura, protezione civile, partecipazione democratica ed etica sociale e professionale.