sabato 31 gennaio 2009

A VINCENZO CICCHIELLO

(vedi intervento di Vincenzo Cicchiello su www.vincenzocicchiello.it)

San Salvatore Telesino, 31 gennaio 2009.
Oggi tutto San Salvatore era tappezzato di un manifesto indirizzato a me, firmato Vincenzo Cicchiello, e ho visto molte persone leggerlo con attenzione.
L’ho letto anch’io, naturalmente, e, coinvolgimento diretto a parte, era veramente interessante. Tutto sommato ci ho trovato alcune cose sulle quali non posso che essere d’accordo.
Poi, nel pomeriggio, Ti ho incontrato di persona, e abbiamo parlato tranquillamente, del manifesto e di altro.
Avevo pensato, sinceramente, che qualcuno fosse interessato ad avviare ed alimentare una querelle utile solo a distogliere l’attenzione dai veri problemi di cui si dovrebbe discutere, magari per trovarvi una soluzione, e non per cercare i responsabili.
Visto però che intendi chiarire quello che è successo negli anni scorsi, sul “termovalorizzatore”, e su altro, ben vengano questi chiarimenti.
Non aggiungo altro, rispetto a quello che ho già scritto, e che credo sia già sufficientemente chiaro ed esaustivo, anche perché, sinceramente, non penso di meritare tanta attenzione.
Una cosa sola: le tue dimissioni non mi fecero affatto tirare un sospiro di sollievo, anzi, a dire il vero, mi sentii tradito. Fu, in ogni caso, una sconfitta, anche mia. Ma posso provare a comprendere le tue motivazioni.
In attesa di visitare il tuo sito, invito anche te a leggere il mio blog: http://pierluigi-santillo.blogspot.com
(l’ho realizzato nei giorni scorsi, inserendovi anche alcuni documenti relativi al mio impegno come segretario dei DS e, quindi, credo possa interessarti, perché ci ritroverai la tua stessa passione).

venerdì 30 gennaio 2009

Intervento al convegno: LA SICUREZZA SUL LAVORO

(UN DIRITTO DI TUTTI PER UN DOVERE COMUNE)
(Napoli – 27 settembre 2008)

Sono un tecnico che lavora nella pubblica amministrazione e, per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro, le mie competenze sono legate soprattutto all’analisi e prevenzione dei rischi delle nostre strutture adibite a sedi strumentali (uffici), e ai cantieri, generalmente per lavori di manutenzione.
Ma la mia prima esperienza con la questione sicurezza risale a quasi 35 anni fa, quando avevo più o meno otto anni e, sfuggito al controllo dei miei genitori, insieme a mio cugino andai a giocare nel cantiere della sua casa in costruzione. Non avemmo nessuna difficoltà ad accedervi, e nessuno si accorse di noi.
Già allora esisteva, e da oltre 20 anni, in Italia, una normativa molto avanzata (DPR 547/1955), ma che era largamente disattesa, soprattutto per la mancanza di controlli; così, mentre giocavo sono caduto da un balcone del primo piano, privo di ogni protezione, cadendo, per fortuna, proprio su un cumulo di soffice pozzolana che ha ridotto l’altezza della caduta ed ha attutito il colpo. Insomma, ne sono uscito del tutto illeso, e tuttavia da allora, per lo spavento, ho sempre avuto una certa sensibilità per i rischi dei cantieri.
E’, questo, quello che potremmo chiamare “effetto educativo” della paura: come la paura di fare incidenti e/o di prendere multe che ci fa guidare con prudenza.
I cantieri hanno continuato comunque ad affascinarmi, come tutte le manifestazioni della capacità creativa dell’uomo, ma, da allora, mi ci sono mosso sempre con prudenza, cercando di fare attenzione a dove metto i piedi, sia quando da ragazzo ci andavo saltuariamente a lavorare, sia dopo, nello svolgimento della mia professione, che mi impone, fra l’altro, anche di vigilare sul rispetto delle norme di sicurezza e sui comportamenti degli addetti ai lavori.
Anche oggi, come all’epoca della mia caduta, nonostante un quadro normativo ancora più moderno e teoricamente efficace (dal D.Lgs. 494/96 al T.U. introdotto dal D.Lgs. 81/2008), i livelli di sicurezza sono insufficienti, soprattutto nei piccoli cantieri, non soggetti a notifica preliminare, e nelle piccole fabbriche o officine artigianali, dove i controlli sono meno frequenti, e spesso, si interviene solo ad infortunio ormai avvenuto.
In passato, infatti, ho lavorato anche per un’azienda che produce prefabbricati in cemento e quindi ho fatto l’esperienza del lavoro in fabbrica, rendendomi conto che, se possibile, può essere ancora più pericolosa del cantiere, probabilmente pure a causa della “monotonia” del lavoro, che porta i gesti e i comportamenti a diventare automatici, troppo ripetitivi, in un ambiente che è sempre uguale, e dove le procedure e la produttività sono più facilmente codificabili e controllabili, mentre contemporaneamente si tende a ridurre il livello di attenzione, per la stanchezza, e a velocizzare troppo i gesti, perché per andare via bisogna completare un lavoro.
A conferma del fatto che i controlli sono importanti, posso testimoniare che quando mi sono occupato della direzione dei lavori di bonifica dall’amianto dell’edificio ex SIP di via Arenaccia a Napoli, la presenza costante degli ispettori della ASL, sia in fase preliminare che esecutiva, anche con un approccio più “da consulenza” che di vero e proprio controllo, e che quindi fu percepito in modo non coercitivo, o semplicemente sanzionatorio, dall’impresa e dagli operai, la sicurezza di tutti fu assolutamente garantita, e non si verificò nessun infortunio, né rilascio di fibre di amianto oltre i limiti consentiti.
Naturalmente, anche in quel caso, non fu possibile ottenere l’annullamento di ogni pericolo, ma, come sempre dovrebbe avvenire, si perseguì come prioritario l’obiettivo di ridurre i rischi al di sotto dei limiti codificati come accettabili.
I tempi di lavoro, in vero, furono più lunghi di quelli contrattualmente stabiliti, ma da parte del committente, che io rappresentavo, non fu mai esercitata alcuna pressione, né sull’impresa, né sull’organo di controllo, per aumentare i ritmi di lavoro.
L’integrità e la sicurezza di un uomo, e la dignità dei lavoratori, dovrebbero essere sempre più importanti di un qualsiasi aumento di produttività o di qualsiasi obbligo contrattuale.
Anche questo è, in definitiva, un problema di legalità, che incide direttamente, fra l’altro, sui livelli di sicurezza dei lavoratori che, in un contesto dove diritti negati e sfruttamento sono la regola, ne viene inevitabilmente pregiudicata.
Per sfruttamento, in questo discorso, intenderei comprendere, assieme allo sfruttamento dei lavoratori, anche lo sfruttamento delle risorse naturali, sempre per finalità di massimizzazione dei profitti.
Qual è il rimedio a tutto ciò?
Una citazione di Serge Latouche mi sembra utile, a questo punto, per introdurre una riflessione sull’attuale sistema economico, e sulle ricadute che esso ha sulle condizioni di lavoro e sulla stessa sicurezza dei lavoratori, e non solo dei lavoratori.
… bisogna concepire e volere una società nella quale i valori economici cessino d’essere centrali (o unici), dove l’economia è rimessa al suo posto come semplice mezzo della vita umana e non come fine ultimo. …. Ciò è necessario non solo per evitare la distruzione definitiva dell’ambiente terrestre, ma anche soprattutto per uscire dalla miseria psichica e morale dell’umanità contemporanea.[1]
I valori economici, infatti, stanno sempre più monopolizzando la nostra società: tutto è giustificato in nome del profitto e dello sviluppo. Sicurezza, ma anche onestà, etica, deontologia, correttezza professionale, autonomia di pensiero, …, l’interesse economico sta subordinando ogni altro valore.
In nome dello sviluppo economico e della crescita del PIL, imprenditori, tecnici ed amministratori con pochi scrupoli, mettono in atti o tollerano sistemi produttivi che sfruttano il lavoro e le risorse naturali, senza regole e remore, introducendo nei processi sostanze chimiche tossiche e cancerogene, che avvelenano sia i lavoratori che i destinatari finali del prodotto.
E tutti ciò con un sistema di norme inadeguate ma largamente disattese, e con scarsissimi controlli.
E, in questa situazione, aggravata sempre più dal decadimento morale, della nostra società, alimentato dal degrado dell’ambiente che ci circonda, non possono che aumentare purtroppo anche gli infortuni sul lavoro, e ci si indigna sempre meno e ci si abitua, pian piano, a pensarlo come un inevitabile “effetto collaterale” del benessere che pensiamo di dover sempre più migliorare; e non pensiamo che domani potrebbe toccare a noi, o a un nostro figlio o a un fratello, o un amico.
Così, di lavoro si continua a morire, come si muore per lo svilimento delle strutture sanitarie pubbliche a favore di quelle private, che per massimizzare i profitti e ridurre i costi, spesso sono anche peggiori di quelle pubbliche, mentre l’evasione fiscale e contributiva continuano a sottrarre risorse alla collettività.
Inoltre si soffre per la precarizzazione del lavoro: anche questa è insicurezza, e per di più, si verificano sempre più spesso situazioni in cui lavoratori inesperti e non sufficientemente preparati vengono utilizzati per attività anche molto pericolose.
Intanto i mezzi di informazione, televisione in testa, continuano a diffondere un misto micidiale di notizie angoscianti e spot pubblicitari, costruendo da un lato paura, insicurezza, incertezza e diffidenza, che servono a giustificare politiche sempre più repressive e invadenti, e dall’altro bisogni, e domanda di merci, per sostenere la crescita economica e far aumentare i profitti delle multinazionali.
Oggi però c’è la chiara sensazione che il mito del mercato che si auto regola e della crescita economica stiano crollando insieme alle aziende, soprattutto finanziarie, che stanno fallendo; e infatti l’Italia è ferma, dal punto di vista economico; anzi, ormai siamo alla soglia della recessione.
Se vogliamo salvare il Paese dalla bancarotta, e il mondo dalla catastrofe (l’attuale ritmo di sviluppo e di logoramento delle risorse, e l’accelerazione della produzione e dei consumi di beni non necessari, stanno pregiudicando il futuro del pianeta), è necessaria una vera rivoluzione culturale.
Scuotendoci dalla rassegnazione passiva e liberandoci da egoistici opportunismi, dobbiamo reagire, abbandonando il mito della crescita senza limiti, e rifiutando per sempre l’idea che l’arricchimento personale possa essere un fine che giustifichi ogni mezzo.
Dobbiamo togliere centralità all’economia e al mercato, e restituirla all’uomo: solo così potremo perseguire con successo una più equa distribuzione delle risorse, e inoltre avremo anche cantieri e fabbriche più sicure e meno infortuni e morti.
Investimenti appropriati in ricerca, tecnologia e formazione, legati anche alla correttezza delle imprese, devono sostituire i finanziamenti a pioggia, ed è fondamentale un miglioramento dell'efficienza e dell'efficacia dell'azione amministrativa delle istituzioni pubbliche, indispensabile presupposto anche per un incremento della produttività, che non può e non deve essere ottenuto solo con l’esasperazione dell’impegno dei lavoratori, perché ciò porta poi a stress e stanchezza, precarizzazione e riduzione dei livelli di attenzione, favorendo gli infortuni sul lavoro.
Ho letto di recente della pericolosa diffusione delle droghe sui luoghi di lavoro, spesso utilizzate, e tollerate, per sopportare meglio i terribili ritmi di lavoro oggi richiesti in alcune fabbriche o nei cantieri.
Imprenditori ed artigiani devono acquisire maggiore consapevolezza sulle conseguenze ambientali, economiche e sociali della propria attività, cercando di migliorare continuamente le proprie conoscenze tecnico-specialistiche (formazione professionale), ma anche il proprio livello culturale, e la capacità di confronto e sinergia con altre professionalità, e con la coscienza di svolgere un ruolo di interesse collettivo, e non solo un’attività finalizzata al profitto.
Lo sviluppo economico non deve prescindere dal rispetto per l’ambiente e dell’integrità, fisica e morale, della persona umana, la cui difesa deve condizionare ogni decisione legislativa e amministrativa, ma anche le scelte di tipo imprenditoriale.
Un importante contributo a migliorare le condizioni di lavoro nei cantieri e nelle fabbriche può essere portato anche dalla bioedilizia e, in generale, dal movimento ecologista, che potrà imporre al mercato prodotti meno tossici, nelle varie fasi di produzione, esecuzione, vita utile e smaltimento finale, in edilizia, nell’industria dell’arredamento, per i prodotti per la casa, ecc..
Anche nel campo della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti un consapevole movimento e diffuso ecologista potrà portare benefici in termini di riduzione, riuso, riutilizzo, recupero, …, con minori rischi per la sicurezza, anche, degli addetti ai lavori.
In conclusione, dopo aver ascoltato prima gli straordinari versi di “Fravecature” di Viviani, vorrei citare anch’io un’unica strofa di una altrettanto straordinaria canzone scritta in onore dei morti dello scoppio nella “Flaubert’s” di Sant’Anastasia, quasi 33 anni fa:
“E chi và 'a faticà
pur' 'a morte addà affruntà
murimm' 'a uno 'a uno
p'e colpa 'e 'sti padrune”.
(E'Zezi, "A' Flaubert", 1975)

[1] Serge Latouche (Professore emerito di Scienze Economiche all’Università di Parigi) – ALTRI MONDI, ALTRE MENTI, ALTRIMENTI – Ed. Rubettino – 2004 – pag. 126.

giovedì 29 gennaio 2009

“MENS SANA IN CORPORE SANO” (*)

LA PRATICA SPORTIVA PER LA PROMOZIONE DEL BENESSERE E DELLA SALUTE
(e le ricadute di carattere sociale, ovvero le responsabilità della politica)

La prima parte di questo articolo è stato pubblicato sulla rivista "Asclepiadi" numero 15 - ottobre 2008.

(*) Locuzione latina del poeta Giovenale (Satire, X, 356): La satira decima di Giovenale è tutta volta a mostrare la vanità dei valori o dei beni che gli uomini cercano con ogni mezzo di ottenere: ricchezza, fama, onore… Ma tutto ciò è effimero e, talvolta, anche dannoso. Nell'intenzione del poeta, l'uomo non dovrebbe aspirare che a due beni soltanto, la sanità dell'anima e la salute del corpo. Nell'uso moderno si attribuisce invece alla frase un senso diverso, intendendo che, per aver sane le facoltà della mente bisogna aver sane anche quelle del corpo (da Wikipedia).

Nell’agosto scorso si sono svolte, in Cina, le XXIX olimpiadi dell’era moderna, ovvero l’evento sportivo più importante che si svolge sul pianeta, con la partecipazione di tutte le nazioni del Mondo impegnate in quasi tutte le discipline sportive, da quelle più antiche (come l’atletica e la lotta) a quelle più nuove (come quelle che utilizzano pistole e carabine di precisione). Si tratta della massima espressione dello “spirito competitivo” insito nella natura umana, sia pure incanalato e disciplinato con le regole dello sport.
Ma le olimpiadi, che dovrebbero essere del tutto apolitiche, in realtà, sono anche un grande evento politico. E come nella Berlino hitleriana nel 1936, a Città del Messico nel 1968, e a Mosca nel 1980, grazie all’impatto sull’opinione pubblica e alle imprese degli atleti di casa, le olimpiadi in Cina sono state anche strumento di rafforzamento di un regime che nega fondamentali diritti dell’uomo.
Ma, grazie alle iniziative di Amnesty International e di altre associazioni ed organizzazioni internazionali, sono state, di contro, pure l’occasione per una campagna mondiale per chiedere alla Cina l'adozione e l'attuazione di riforme significative nel campo dei diritti umani, anche in considerazione dell'impegno che la stessa Cina si è assunta di fronte al Comitato olimpico internazionale (Cio). Infatti, quando nell'aprile 2001 fu scelta Pechino per le olimpiadi del 2008, Kiu Jingmin, vicepresidente del Comitato promotore di Pechino 2008, aveva affermato: "assegnando a Pechino i Giochi, aiuterete lo sviluppo dei diritti umani". E ancora, Wang Wei, Segretario generale del Comitato promotore di Pechino 2008, aggiunse: "garantiremo completa libertà d'informazione ai giornalisti che verranno in Cina. Abbiamo fiducia nel fatto che i Giochi non solo promuoveranno la nostra economia ma miglioreranno tutte le condizioni sociali, compresa l'educazione, la salute e i diritti umani".
In realtà, nonostante alcune riforme in tema di pena di morte e di maggiore libertà di stampa per i media internazionali, questo impegno non è stato rispettato, anche in conseguenza della timidezza nel pretenderne il rispetto da parte dei governi degli Stati partecipanti e dello stesso CIO, che ha chiaramente lasciato intendere che le condizioni politiche e sociali in Cina erano meno importanti dello stato degli impianti e delle strutture per gli atleti. Delle richieste di Amnesty International (adottare provvedimenti per la riduzione significativa dell'applicazione della pena di morte, come primo passo verso la sua completa abolizione - applicare tutte le forme di detenzione in accordo con le norme e gli standard internazionali sui diritti umani e introdurre misure che tutelino il diritto a un processo equo e prevengano la tortura - garantire piena libertà d'azione ai difensori dei diritti umani, ponendo fine a minacce, intimidazioni, arresti e condanne nei loro confronti - porre fine alla censura, soprattutto nei confronti degli utenti di Internet), nulla è stato fatto. Anzi, nessuna manifestazione di protesta è stata autorizzata durante lo svolgimento dei giochi, e chi ne ha fatto richiesta è stato immediatamente arrestato, così come coloro, anche cittadini stranieri, poi immediatamente espulsi, che hanno osato manifestare in assenza di autorizzazione.
Pechino, dunque, ha sbalordito per lo sforzo organizzativo e per l’impegno economico dedicati ai giochi (40 miliardi di dollari per mostrare al mondo la faccia moderna della potenza cinese), ma è venuta meno alle promesse di migliorare la situazione dei diritti umani, tradendo in questo modo i valori fondamentali dell'olimpismo.

Da Amnesty International:
In Cina la pena di morte resta prevista per 68 reati, compresi crimini di natura economica, o connessi alla droga, che non comportano il ricorso alla violenza, e, nonostante la Cina dichiari che il numero delle esecuzioni è diminuito da quando la Corte suprema del popolo ha ripristinato il suo potere di revisione delle condanne a morte, le autorità cinesi continuano a non pubblicare alcun dato sulle esecuzioni, che dovrebbero comunque essere più di 5000 ogni anno.
L'attivista e scrittore Hu Jia continua a scontare una condanna per "incitamento alla sovversione", per aver scritto articoli e rilasciato interviste alla stampa estera sui diritti umani: ha problemi al fegato, a causa dell'epatite B, ma le autorità impediscono ai suoi familiari di fargli arrivare le medicine necessarie.
A giugno, la polizia ha arrestato l'attivista per i diritti umani del Sichuan, Huang Qi, con l'accusa di "essere entrato illegalmente in possesso di segreti di Stato". Huang stava fornendo assistenza legale alle famiglie di cinque alunni morti a seguito del crollo di una scuola elementare nel terremoto di maggio.
Liu Jie, un'attivista per il diritto alla terra, sta scontando un periodo di 18 mesi di "rieducazione attraverso il lavoro" nella provincia dell'Heilongjiang (Cina nord-orientale); secondo fonti locali, è stata sottoposta a violenze fisiche per aver lanciato una campagna in favore di riforme politiche e legali, tra cui l'abolizione della stessa "rieducazione attraverso il lavoro".
I giochi hanno raccontato una Cina diversa da quella che albergava nell’immaginario occidentale, più avanzata economicamente e tecnologicamente di quanto si potesse credere, e con un partito comunista senza ideali, ormai convertito in un’azienda che gestisce i soldi dello stato.
I cinesi si sono esaltati per le imprese dei propri atleti, ma i media e il regime hanno strumentalmente confuso il comprensibile entusiasmo nazionalista con l’approvazione politica, senza tuttavia riuscire ad attenuare l’immagine di un paese chiuso persino ai propri cittadini, dove i divieti e le limitazioni sono a volte insensati, e qualunque forma di dissenso porta immediatamente a limitazioni delle libertà personali o all’esilio, come quello di Wang Dan, a lungo perseguitato in patria, ed ora professore di storia ad Harvard, che non ha ottenuto il visto per rientrare in occasione delle olimpiadi.
Nel riquadro sono riportati altri casi di dissidenti perseguitati dal regime cinese, ma almeno 500 cittadini sono sottoposti a pene detentive senza alcuna accusa né processo.
Nel periodo che ha preceduto i Giochi, le autorità cinesi hanno imprigionato, posto agli arresti domiciliari o allontanato a forza chiunque avesse potuto minacciare l'immagine di "stabilità" e "armonia" che intendevano presentare al mondo, hanno abbattuto vecchie case scacciandone in malo nodo gli abitanti (per realizzare nuove strade ed eliminare edifici fatiscenti, poco consoni all’immagine della città), hanno chiuso fabbriche e hanno vietato l’uso delle automobili private (per ridurre i terribili livelli di inquinamento), hanno obbligato artigiani e venditori ambulanti a lasciare Pechino, hanno costretto milioni di cittadini a tali e tanti disagi, divieti, costrizioni e rinunce che v’è davvero da dubitare che ricorderanno i giochi come un momento alto della loro storia.
Inoltre le autorità cinesi hanno esteso l'uso di forme punitive di detenzione amministrativa, tra cui la "rieducazione attraverso il lavoro" e la "riabilitazione forzata dalla droga", per "ripulire" Pechino prima dell'inizio delle Olimpiadi e tenere alla larga gli attivisti per tutta la durata dei Giochi; e ai giornalisti cinesi continua ad essere impedito di scrivere su argomenti giudicati sensibili dal governo.
In questa situazione, secondo Amnesty International, i leader mondiali che hanno assistito ai Giochi “avrebbero dovuto prendere pubblicamente posizione in favore dei diritti umani in Cina e appoggiare l'azione degli attivisti per i diritti umani. Non avendolo fatto hanno mandato al mondo il messaggio che è accettabile che un governo ospiti i Giochi olimpici in un'atmosfera di repressione e persecuzione".
In nome del business, e completamente soggiogati agli interessi delle multinazionali e degli sponsor, i capi di Stato e i Dirigenti dello sport mondiale non hanno mai trovato la forza, prima, durante o dopo lo svolgimento dei giochi, di far sentire la loro voce contro la violazione dei diritti umani in Cina.
D’altra parte, anche quando, dopo l’assegnazione dei Giochi Olimpici del 1936 a Berlino, e la successiva nomina di Hitler a Cancelliere, il CIO non ne volle sapere di spostare altrove le Olimpiadi, così come richiesto da più parti. Eppure lo stesso "Führer", inizialmente, non era per nulla contento di ospitare quello che definì un "indegno festival organizzato dagli ebrei". Poi i suoi gerarchi gli fecero notare che i Giochi rappresentavano una grande occasione per mostrare al mondo la potenza germanica e la superiorità degli atleti tedeschi e Hitler, ormai persuaso, per celebrare la pretesa superiorità della "razza ariana", non badò a spese: lo stadio e la piscina furono ampliati e gli atleti poterono godere di uno sfarzoso villaggio olimpico. Fu un'olimpiade organizzata perfettamente e, mai come prima, i Giochi coinvolsero il pubblico, con oltre quattro milioni di biglietti venduti; e chi non riuscì ad entrare negli stadi poté seguire le gare grazie a 25 innovativi maxi-schermi installati in diversi punti di Berlino. Come a Pechino, gli atleti di casa fecero la parte del leone nel medagliere, e solo nel calcio, nel polo e nel basket la Germania non salì sul podio.
Però non mancarono iniziative di dissenso da parte degli atleti, come quello di Jesse Owens: grazie alle quattro medaglie d'oro conquistate, il suo pugno teso contro Hitler e il razzismo resterà un'immagine simbolo del Novecento, e quell’atleta e uomo straordinario, sulla pista di Berlino e sul podio, più avanti e più in alto delle miserie di uomini che lo giudicavano inferiore, denunciò, insieme, il razzismo tedesco e le discriminazioni che i neri subivano nella sua patria, subendone poi le prevedibili conseguenze: il ritorno a casa fu amaro e, per una squalifica ingiusta, subito dopo il suo trionfo, fu costretto ad abbandonare lo sport praticato. Invece l'atleta tedesco e comunista Werner Seelenbinder, che aveva promesso un plateale gesto di dissenso nei confronti di Hitler in caso di vittoria nella gara di lotta greco-romana, non riuscì nel suo intento perché si piazzò solo quarto e non ebbe la possibilità di sfruttare la ribalta del podio.
Anche a Città del Messico, nel 1968, uno degli anni più difficili e turbolenti della storia recente, pochi mesi dopo l’invasione sovietica che represse la Primavera di Praga, nel bel mezzo della guerra in Vietnam, e nel pieno delle lotte antirazziste (fu l’anno dell’assassinio di Martin Luther King, che si batteva per ottenere l'uguaglianza tra bianchi e neri), lo svolgimento dei Giochi Olimpici fu condizionato da importanti vicende storiche: la cieca follia del governo messicano compì un’orrenda strage di studenti pochi giorni prima della cerimonia di inaugurazione olimpica. All’origine del massacro vi furono le incursioni dei poliziotti messicani nelle Università, alle quali gli studenti si opposero manifestando contro il presidente Diaz Ordaz e cercando di sfruttare l’attenzione del mondo per le imminenti olimpiadi. Il presidente-dittatore li accusò quindi di voler boicottare i Giochi con le loro proteste, e ordinò l’occupazione militare dell’Università di Città del Messico, con centinaia di arresti. Gli studenti organizzarono una manifestazione di protesta in Piazza Tre Culture, alla quale il governo rispose ordinando una vera e propria carneficina: la piazza fu bloccata in ogni accesso, e l’esercito sparò da elicotteri ed edifici adiacenti (come non pensare ai carri armati di Piazza Tiananmen?). Del massacro non si sono mai avute cifre ufficiali, ma si parlò di centinaia di morti. L’efferatezza dell’azione scosse l’opinione pubblica, e dappertutto vi furono manifestazioni per portare solidarietà ai ragazzi messicani. Eppure il CIO decise che, nonostante tutto, i Giochi si dovevano disputare regolarmente: una scelta che fece discutere. E anche qui, come a Berlino, non mancarono gesti clamorosi da parte degli atleti: Tommie Smith e John Carlos, primo e terzo nei 200 metri, salirono sul podio a piedi nudi sollevando il pugno e abbassando la testa quando venne issata la bandiera americana, in segno di protesta per la considerazione dei bianchi americani verso i neri considerati ancora come "animali, buoni unicamente per correre più velocemente oppure per saltare più in alto o più in lungo". E anche Lee Evans, Larry James e Ron Freeman, primo secondo e terzo nella 400 metri, salirono sul podio a piedi nudi, con il pugno alzato e con il basco scuro delle Pantere nere. I coraggiosi atleti protagonisti di questi gesti di grande valore sportivo e politico furono poi tutti sospesi dalla Federazione americana, esattamente come era capitato a Jesse Owens trentadue anni prima.
In Messico il regime militare sopravvisse alle olimpiadi per oltre 30 anni, fino a quando fu poi scalzato dal voto democratico, e ancora oggi la situazione politica non è del tutto stabilizzata: c’è da augurarsi che in Cina non debba passare così tanto tempo per una svolta.
I giochi del 1980 a Mosca, con il pretesto dell’invasione sovietica dell’Afghanistan (una guerra che è andata avanti per tutti gli anni ottanta, provocando un milione e mezzo di morti), furono boicottati dagli Stati Uniti e da altri Paesi della NATO, ma solo perché si era in piena guerra fredda, mentre oggi, almeno fino alla recente crisi caucasica, le due ex superpotenze mondiali hanno tollerato vicendevolmente, se non addirittura appoggiato logisticamente, le rispettive politiche imperialiste e neo-colonialiste (Cecenia da una parte, Afghanistan ed Iraq dall’altra). E anche qui un cambiamento politico si è avuto solo molto dopo le olimpiadi, con la Perestroika di Gorbaciov e la caduta del muro di Berlino.
Parliamo dunque di ri-corsi storici, della ri-proposizione di debolezze ed errori che nulla sembrano aver insegnato. E così in Cina oggi, come in Germania nel 1936, alla negazione della democrazia, all’autoritarismo sanguinoso, ai crimini di regime, si aggiunge il silenzio e la complicità dei governi di quasi tutte le nazioni partecipanti, dagli Stati Uniti ai paesi dell’Unione Europea, e delle relative istituzioni sportive.
I leader politici europei e americani hanno troppo timore delle possibili ritorsioni cinesi in campo economico per potersi preoccupare del Tibet o delle discriminazioni contro i mussulmani Uiguri della provincia di Xinjiang, rifiutano persino di incontrare il Dalai Lama, e hanno fatto di tutto per evitare, o almeno circoscrivere, le manifestazioni di protesta nei loro paesi durante il passaggio della fiaccola olimpica, pur di non irritare, più dell’inevitabile, gli “amici” cinesi. Inoltre hanno chiaramente “fatto sapere” che non avrebbero nemmeno gradito che i propri atleti avessero manifestato, per esempio, la loro solidarietà al popolo tibetano. D’altra parte, anche gli stessi atleti hanno generalmente obiettato che, se non se ne occupano i politici, di questioni politiche, non vedevano proprio perché avrebbero dovuto farlo loro.
I media hanno solo mostrato ed esaltato le imprese dei campioni in gara e i risultati delle nazioni più medagliate: abbiamo visto e rivisto in TV l’impressionante e, per alcuni inquietante, facilità delle vittorie del velocista giamaicano Usain Bolt, che ha stracciato i record mondiali sia dei 100 che dei 200 metri, o le otto medaglie d’oro del nuotatore americano Michael Phelps, ed altre imprese sportive, ma non abbiamo saputo nulla delle condizioni di vita dei cinesi, né si sono viste proteste di cittadini cinesi (e mi è difficile credere che non ve ne siano state).
E’ stato dato grande risalto alle 51 medaglie d’oro degli atleti cinesi, 25 delle quali conquistate da “debuttanti” sbucati da chissà dove, del tutto sconosciuti prima dei giochi. I cinesi hanno fatto quasi il pieno nei tuffi e nella ginnastica, dove sono state viste gareggiare bambine che non sembravano proprio avere i 16 anni necessari per partecipare alle olimpiadi.
La Cina ha vinto anche 21 argenti e 28 bronzi, per un totale di 100 medaglie: un risultato assolutamente sorprendente, ma ancora più, secondo me, è sorprendente che, con poche eccezioni, tutti i vincitori delle medaglie olimpiche di Pechino, cinesi e non, hanno festeggiato sorridendo le loro vittorie, ignari, o indifferenti, del dolore e della disperazione della stragrande maggioranza dei “sudditi” del regime cinese, inclusi, forse, gli stessi atleti in gara, a cominciare dalle “bambine” della ginnastica. E, anche fra gli atleti occidentali, quasi nessuno ha espresso la propria opinione sulla situazione dei diritti umani in Cina.
Oppure le espressioni di dissenso, se vi sono state, hanno subito una rigorosa censura.
Nessuno ha raccontato cosa accade in Cina ai dissidenti politici e agli attivisti dei diritti umani, tranne poche ONG, e si è persa così una grande occasione. Lo sport, che dovrebbe evocare e rilanciare messaggi positivi, in questo modo rinuncia al proprio ruolo culturale, appiattendosi su una logica economico-industriale, dove i risultati e il profitto giustificano ogni cosa, anche, forse, i presunti esperimenti di eugenetica cinesi, per selezionare atleti formidabili, o il doping, di cui si è parlato pochissimo, anche perché, a fronte dei 38 record mondiali stracciati a Pechino, la metà dei quali nel nuoto, una cosa mai vista prima, i test anti-doping sono risultati quasi tutti negativi, e solo due medaglie sono state ritirate. Ma non sembra possibile “credere a tutto ciò che luccica” e forse, fra qualche tempo, sapremo come è stato possibile, ai vari Bolt, Phelps, e ai tanti “carneadi” cinesi, ottenere certi risultati così sorprendenti.
A forza di cercarla ostinatamente, ho comunque trovato sui giornali l’unica “uscita” fuori le righe di un atleta partecipante alle olimpiadi, paragonabile forse al pugno teso di Jesse Owens nel 1938 contro il razzismo (di Hitler e del suo stesso Paese): la “confessione” del ventenne statunitense Matthew Mitchan che, prima di partire per Pechino, dove poi ha vinto l’oro nella gara di tuffi dalla piattaforma da 10 metri, rispondendo alla domanda di un giornalista, ha dichiarato serenamente di essere omosessuale, scardinando così il tabù del maschio gay nel mondo dello sport, moderno “tempio della virilità”.
Solo che i media di oggi, decisamente più “controllati” di quanto non lo fossero nel 1936 o nel 1968, hanno oscurato anche questo isolato gesto di ribellione contro le discriminazioni, così come hanno ignorato le paraolimpiadi svoltesi, sempre a Pechino, a settembre. Qui, si poteva riportare l’attenzione sui valori veri dello sport, sulla sua capacità terapeutica per il corpo e per la mente, così come la mia esperienza personale di sportivo dilettante mi ha insegnato.
Ma i “diversi”, almeno nella convinzione di chi controlla l’informazione, non sono “telegenici”, e sono anzi destabilizzanti rispetto al connubio sport-consumismo, forse perché, Pistorius a parte, fanno riflettere sulla “vanità dei valori o dei beni che gli uomini cercano con ogni mezzo di ottenere: ricchezza, fama, onore”, e il consumatore non deve riflettere, ma deve agire d’istinto, seguendo acriticamente le indicazioni e i condizionamenti degli spot pubblicitari!
Venerare acriticamente la propria maglia/divisa/bandiera, e odiare l’avversario: qui è anche il seme della violenza, nello sport e non solo.
Tutto il contrario di ciò che dovremmo insegnare ai giovani: la cultura sportiva di un popolo dovrebbe educare alla convivenza civile e ai valori veri dello sport: lealtà, correttezza, rispetto delle regole, tenacia e conoscenza dei propri limiti, umiltà e capacità di accettare le sconfitte, rispetto per l’avversario.
Nello sport professionistico, invece, prevalgono ormai gli interessi economici e le esigenze di spettacolo, tanto che anche i politici spesso sfruttano la popolarità data dallo sport per perseguire i loro fini.
E la partecipazione di massa allo sport, sempre più, per effetto del deciso intervento dei media in favore degli interessi degli sponsor si trasforma: dalla pratica diretta al ruolo di spettatore, o di consumatore, di beni prodotti, anche in Cina, sfruttando il lavoro dei bambini, oppure di sostanze dopanti, diffuse purtroppo anche fra i dilettanti e gli amatori, dove peraltro i controlli sono semplicemente inesistenti. Infine, anche in Italia, è ormai dilagante la nuova frontiera del business sportivo: le scommesse, legali e non.
In questa metamorfosi negativa si può anche leggere un parallelo con la politica, che è ormai un “campo di gioco” per professionisti, dove i cittadini non sono altro che tifosi e dove, per un “ingaggio” più alto, si cambia “squadra” con molta disinvoltura.
Per le elezioni legislative ci hanno tolto anche la possibilità di esprimere voti di preferenza, e poi hanno fatto in modo di rinviare il referendum che era stato ottenuto per modificare questo schiaffo alla democrazia, magari con l’intenzione di lavarci un altro po’ il cervello e abituarci a tale modalità di “non-voto”, che ora vorrebbero estendere anche alle europee; quindi gli eletti sono già decisi a tavolino, prima ancora che si vada a votare, così come le “liste/squadre” che scendono in campo le decide il “partito/allenatore”, quasi sempre sulla base della fedeltà e, l’elettore/spettatore/tifoso, non può far altro che parteggiare per l’una o per l’altra squadra.
Allora, anche sul piano civico e sociale, dobbiamo sperare che possa essere ritrovato uno spirito sportivo, e per questo, riprendendo quanto già avevano compreso i greci, e come ci ha ben ricordato il poeta latino Giovenale, è necessario che la scuola non trascuri la “cura del corpo” e quindi l’educazione degli studenti alla salute fisica e psichica, dando il giusto spazio alla pratica sportiva dei nostri giovani, magari senza ricorrere alle sponsorizzazioni delle aziende produttrici di merendine “obesogene”.
Questo processo di educazione allo sport è fondamentale e non più rinviabile, vista anche la dilagante violenza negli stadi, e perché, anche a livello dilettantistico, da alcuni anni, pure ai livelli più bassi, soprattutto nel calcio, si gioca se e dove si guadagnano più soldi, i bambini vanno sempre meno a giocare all’aria aperta, preferendo, con la “complicità” dei genitori, televisione e videogiochi, e, se praticano una qualche disciplina sportiva è perché i genitori li iscrivono, a pagamento, alla scuola calcio, o in palestre e piscine private che suppliscono, per business, alla carenza di strutture pubbliche, soprattutto scolastiche. Tuttavia, nelle “scuole calcio”, anche per inadeguatezza degli istruttori, che quasi mai hanno seguito corsi specifici, e per il solo fatto di aver “giocato a pallone” pensano di poter diventare allenatori, sovente si insegnano solo tecniche di gioco e competitività/aggressività, perché le vittorie sono in realtà un mezzo per aumentare il prestigio della società e per soddisfare i genitori delle “giovani promesse”, e non il sano risultato del lavoro fatto sul campo di allenamento. E quando i bambini capiscono che non diventeranno campioni strapagati e venerati, come vorrebbero i loro genitori, smettono del tutto di fare sport e si dedicano ad altro.
Lo sport fa bene, ma può fare anche molto male. Ha grandi potenzialità, soprattutto per la prevenzione e la riabilitazione dei disagi sociali, ma anche contraddizioni, come hanno efficacemente mostrato anche numerose opere letterarie e cinematografiche che si sono ispirate a vicende sportive. Comunque rappresenta sempre uno straordinario strumento educativo e di socializzazione, soprattutto per i bambini, ma anche per gli amatori e appassionati praticanti: nonostante i sacrifici e gli “acciacchi”, atleti di tutte le età praticano sport per sentirsi in forma e per il bisogno inconscio, che tutti hanno, di sentirsi ancora “fanciulli”, di continuare a “giocare” con la spensieratezza dei bambini, e, con lo stesso entusiasmo di quando giocavano in strada o nei cortili. Interminabili partite a pallone iniziavano dopo la scuola e finivano spesso quando era già buio, o quando ci sequestravano il pallone! Nessuno voleva perdere, ma non c’era bisogno di arbitri o moviole: non era certo un rigore a decidere una partita, ma il talento e la grinta dei giocatori in campo. Magari si litigava, ma poi si tornava a casa amici come prima, aspettando con impazienza la rivincita.
Una “partita a pallone” era come un rito, e la vita è come una partita: bisogna giocare per vincere, mettendo in campo tutte le proprie qualità, non solo quelle atletiche, e con il massimo impegno, con lealtà e rispetto per compagni ed avversari. In questo modo, facendo sport e divertendosi, si imparava a “stare in una squadra”, accettandone anche regole e limitazioni personali, insomma ci si allenava a “lavorare insieme agli altri”, condividendo sogni e paure, vittorie e sconfitte.
Ogni giocatore, anche il più “scarso”, anche chi è stato messo momentaneamente “in panchina”, deve saper aspettare il suo “momento di gloria”, e oltre a gioire delle vittorie, bisogna saper accettare le sconfitte, perché vincere non è la cosa più importante: quello che è importante è esserci, avere fiducia in se stessi, sapersi mettere in gioco, superando la paura di non farcela e impegnandosi per raggiungere un obiettivo prefissato, migliorando giorno dopo giorno, allenamento dopo allenamento, partita dopo partita.
In questo senso lo sport ha un enorme valore sociale e, anche la politica deve impegnarsi affinché lo possa esprimere, soprattutto a livello giovanile, con investimenti adeguati in strutture e formazione, e con aiuti economici alle società dilettantistiche, perché lo sport sia sempre più praticato e meno “consumato”.

INCENERITORE: RISPOSTA A CICCHIELLO.

(Vedi intervento di Vincenzo Cicchiello su www.vincenzocicchiello.it)

San Salvatore Telesino, 13 gennaio 2009.
Ciao Vincenzo,
sono davvero felice che Tu stia bene.
E mi fa piacere, con l’occasione di questa doverosa risposta al Tuo intervento, chiarire alcune vicende strettamente correlate con le questioni da te sollevate.
E’ vero, sono stato nel direttivo dei D.S. di San Salvatore Telesino per un po’ di tempo, e segretario di sezione per un ulteriore periodo (l’ultimo segretario, anzi, fino allo scioglimento del partito).
Inoltre sono stato impegnato per molto tempo a sostenere le battaglie della sinistra, spesso anche quella che Tu oggi chiami “estrema” (prima il P.C.I., poi il P.D.S. e i D.S. o Rifondazione Comunista).
L’ho fatto, e spero di poterlo fare ancora, con profonda convinzione, solo perché quelle idee erano più vicine al mio “sentire” rispetto a quelle della destra o, prima, della D.C., e non per interessi personali.
Invece non sono mai stato candidato, nonostante le tante sollecitazioni che ho avuto, e non ho mai ricoperto cariche istituzionali, né ho avuto responsabilità amministrative. Ho sostenuto però, in passato, Tue candidature, in quanto convinto delle Tue capacità e delle Tue buone intenzioni.
Ancora oggi sono convinto di aver fatto, allora, una scelta giusta.
Sono anche certo che la Tua stima nei miei confronti non può essere venuta meno: fosti Tu a volermi nel direttivo.
Solo dopo le Tue dimissioni da assessore, su sollecitazione di molte persone, accettai di impegnarmi direttamente, senza più delegare. Volevo mettere a disposizione della comunità le mie competenze, e cercare di lavorare, con gli strumenti della politica, per concretizzare le mie idee, come quelle, per esempio, sulla necessità di una maggiore partecipazione democratica, di un maggior coinvolgimento della società civile nella politica, di una maggiore attenzione verso le tematiche ambientali.
In quel periodo ho scritto molte pagine su questi e altri argomenti (articoli, comunicati, lettere, …), che sono a Tua disposizione, se vorrai leggerli, per contestualizzare le mie parole senza fermarti a pochi concetti estrapolati da un più complesso discorso (non pubblicherò invece, come Tu chiedi, documenti ufficiali che sono agli atti della “conferenza dei servizi”, che sono stati estratti con normali istanze di accesso agli atti ai sensi della normativa vigente e che sono, da tempo, di pubblico dominio).
In particolare, come potrai ricordare e verificare, come segretario dei D.S., ma anche prima, ho sempre cercato di proporre agli elettori una alternativa “di sinistra”, ancorché inserita in un “contenitore” di centro-sinistra. Come è noto, questo obiettivo, che peraltro era largamente condiviso dagli iscritti, e che vedeva apparentemente d’accordo anche gli altri partiti di centro-sinistra, non fu raggiunto; di questo mi assunsi personalmente la responsabilità, anche se tutte le scelte e le iniziative della sezione in quel periodo furono partecipate, condivise e, infine, democraticamente decise a maggioranza.
Anche la decisione più grave, quella che ci portò a non schierarci apertamente con nessuna della due liste in competizione, nelle ultime amministrative, fu assunta a maggioranza in sezione (anche se con dolorosi dissensi e prese di distanza), e fu condivisa con i vertici provinciali del partito. Né si ritenne opportuno proporre una terza lista, solo di sinistra, che avrebbe avuto il solo risultato di favorire uno dei due contendenti. Peraltro, come ribadii in più occasioni, non mi interessava un ruolo individuale non inserito in un gruppo in grado di incidere concretamente sull’azione amministrativa.
Oggi, alla luce degli avvenimenti successivi, sono personalmente convinto che fu una scelta giusta quella di non accostare la sigla dei D.S. a quelle di F.I. e/o A.N., ben rappresentate nelle due liste (sia pur civiche, ma entrambe troppo disomogenee politicamente) che si contesero il governo del paese nel 2007.
Ho anche creduto nel progetto del P.D. e, altro errore, anche su questo mi sono dovuto ricredere: oggi sono deluso, e fortemente indignato, per il comportamento di chi, nel P.D. ha responsabilità direttive o amministrative, da Veltroni a Bassolino, e fino ai responsabili provinciali.
Insomma, anche nell’impegno politico, e anche all’interno del partito, ho sempre cercato di ragionare con la mia testa, di rispettare tutti e di non insultare nessuno.
Ho rispettato anche i Tuoi silenzi quando hai ritenuto di non venire a spiegare in sezione, e a chi Ti aveva sostenuto, le ragioni delle Tue dimissioni. Ed ho rispettato i Tuoi silenzi quando altri ti hanno accusato, e a volte insultato, e assieme a Te tutto il partito, per questa faccenda della centrale, ed era legittimo attendersi una Tua presa di posizione, se non altro per dovere proprio verso il partito che Ti aveva sostenuto.
A questo punto, sono quasi onorato che Tu abbia scelto me, come bersaglio, per rompere il Tuo isolamento.
Ma veniamo al dunque.
E’ vero anche che parlasti ai componenti del direttivo, nel 2004 credo, o forse all’inizio del 2005, di un progetto di centrale a biomasse da realizzare nella “zona industriale” di San Salvatore Telesino; ma ricorderai anche che in quell’occasione Ti espressi immediatamente le mie personali perplessità in merito (per inciso, dicesti anche della possibilità che io me ne potessi occupare professionalmente e, ricorderai, anche su questo risposi negativamente).
In ogni caso non fornisti nessun dettaglio e non mostrasti alcuna documentazione. Poi non ne hai più parlato, almeno non con me.
Solo nel 2006, dopo che Emilio Bove aveva parlato dell’impianto nel suo periodico informativo, cercai di assumere altre notizie (nel frattempo ero stato eletto segretario). Ma su quello specifico progetto non riuscii ad avere alcuna informazione da parte dei referenti provinciali, e solo da un amico di Caivano, anche lui ingegnere e anche lui nei D.S., riuscii ad avere copia della relazione relativa ad un impianto che, mi disse, doveva essere simile a quello di San Salvatore. Mi disse anche che i D.S. appoggiavano decisamente questo tipi di centrali.
In effetti, ancora oggi, la regione governata da Bassolino incentiva e finanzia generosamente questi impianti nell’ambito di quelli per lo sfruttamento delle fonti rinnovabili.
Insomma, questo progetto sembrava inserirsi effettivamente in una strategia complessiva di interventi per la sostituzione dei combustibili fossili.
Così, senza approfondire oltre, firmai anche un documento favorevole all’impianto.
E sbagliai! Perché non mi ero documentato abbastanza, perché non avevo nessun documento specificamente relativo all’impianto in questione, e perché mi ero fidato troppo di quello che altri mi avevano detto. Fui dunque, io anche, un ingenuo, nel pensare che il partito non potesse che sostenere progetti giusti!
Questo però l’ho capito solo in seguito, subito dopo lo svolgimento delle elezioni amministrative a San Salvatore, quando un funzionario della regione, anche lui “vicino” ai D.S., e al quale avevo chiesto notizie, finalmente, ritenne giusto informare il segretario dei D.S. di San Salvatore Telesino che l’autorizzazione per quell’impianto non era stata chiesta come impianto per la produzione di energia da biomasse, ma come inceneritore di rifiuti. E disse chiaramente che era stato il Presidente della provincia Nardone a volere così!
Casualmente, dopo pochi giorni (siamo già a giugno del 2007), ad un’iniziativa della federazione provinciale, mi fu presentato Giovanni Zarro, col quale ebbi una sgradevole discussione proprio sulla centrale-inceneritore. Zarro sostenne con decisione e con chiarezza che l’impianto sarebbe stato sicuramente realizzato, nonostante l’intervenuta contrarietà del sindaco, perché il Presidente della Provincia Nardone era deciso ad autorizzarlo, e perché sia i D.S. che la Margherita di Benevento erano d’accordo.
Lo stesso Presidente Nardone ha detto più volte di essere assolutamente favorevole all’impianto, e lo ha difeso con una chiarezza ed una veemenza incredibili. Bisogna riconoscere che è stato assolutamente coerente, anche a costo di pagare politicamente questo suo accanimento.
Per conto mio, come segretario dei D.S. di San Salvatore Telesino, non potevo ovviamente accettare che il partito potesse sostenere quel progetto a dispetto delle popolazioni coinvolte, e conseguentemente, mi attivai per rappresentare ai vertici provinciali la contrarietà mia e degli iscritti di San Salvatore rispetto all’impianto e, soprattutto, rispetto alle modalità con le quali lo si voleva imporre.
Nel frattempo la notizia era stata divulgata, finalmente, dal sindaco di San Salvatore in un consiglio comunale agli inizi di luglio del 2007, quindi dopo la conferenza dei servizi del giugno 2007.
Grazie anche della grande mobilitazione che vi fu contro l’impianto (io stesso mi ero adoperato per la raccolta delle firme), insieme agli amici di Amorosi, ottenemmo che la federazione di Benevento, in vista anche delle ormai prossime elezioni (nel frattempo anche i rapporti con il Presidente Nardone si erano definitivamente deteriorati), si esprimesse pubblicamente a sfavore della centrale: uscirono articoli di giornale con una dura presa di posizione di Rossano Insogna, fu affisso in tutti i paesi un manifesto e, in consiglio provinciale, anche i consiglieri D.S. si espressero contro il progetto appoggiato da Nardone.
Questo mi è stato possibile fare, e l’ho fatto. Ma ho ammesso anche le mie responsabilità politiche, le ho pagate di persona, e tuttavia, pur avendo messo a disposizione della sezione il mio incarico, ho continuato a lavorare fino allo scioglimento dei D.S. e alla conseguente decadenza dell’incarico stesso. A quel punto ho rinunziato ad ogni impegno nel partito, ma non all’impegno civico: credo che l’associazionismo, l’ambientalismo, i comitati, le imprese del commercio equo e solidale, più dei partiti, possano essere un campo di impegno per proporre un nuovo modo di fare politica: più partecipazione, più attenzione alle esigenze della collettività, più cura dei beni comuni e dell’ambiente, meno compromessi e personalismi, più etica, sociale e politica.
Mi scuso con tutti per essermi dilungato sulle mie vicende personali, ma era necessario per contestualizzare le risposte alle Tue domande (strettamente correlate ai fatti che sono accaduti in Tua assenza, soprattutto all’interno del partito). Spero che le troverai esaurienti.
1) Non volevo affatto fare disinformazione, né piccola né grande, e non pensavo certo a Te nello scrivere, ma, semplicemente, intendevo far sapere all’Architetto Visalli, il cui ultimo intervento mi aveva indignato, che non potevo accettare lezioni, per suo tramite, dalla società VOCEM. Scrivendo di getto, ho espresso idee ed opinioni coerenti con quanto avevo sempre detto e scritto in precedenza, senza lanciare accuse personali, ma solo opinioni, e credo che le opinioni di ognuno debbano sempre essere rispettate.
2) Non so se la mia “lettera-articolo” possa essere considerata “inquietante”, a me non sembra affatto: la mia era solo una lettera (il titolo, che è proprio di un articolo, non è stato messo da me) e non avevo altro modo di farla giungere a Visalli se non attraverso Vivitelese, che Lui segue con interessata fedeltà.
A parte il titolo, che era effettivamente un po’ fuorviante, con l’occasione, devo ringraziare VIVITELESE per il servizio che rende alla nostra comunità, consentendo a Tutti di esprimere le proprie idee.
3) In un passaggio ho parlato di pressioni della società per “promuovere” i propri interessi presso politici locali. Facevo riferimento, in particolare, ad un fatto specifico: il 16 maggio 2005 la VOCEM-ABM inviò una nota al Presidente Nardone pregandolo di “armonizzare ed integrare” il progetto VOCEM all’interno dei piani provinciali di smaltimento dei rifiuti e di produzione di energia; da tale lettera si poteva evincere chiaramente che la ditta voleva bruciare CDR nel termovalorizzatore. Testualmente vi si legge: «l’impianto VOCEM, come attualmente dimensionato e progettato, potrebbe essere alimentato integrando il materiale organico a matrice vegetale con il quantitativo di Cdr prodotto in provincia di Benevento». Risulta anche che, qualche giorno dopo, la ABM-VOCEM Ti abbia informato confidenzialmente di tale iniziativa, ed in particolare di aver sollecitato una modifica della pianificazione provinciale in materia di energia.
Si tratta di circostanze e documenti, questi ed altri, già più volte citati, e commentati, da altri prima di me, senza che nessuno li abbia mai smentiti.
Anche recentemente, in una pubblica assemblea ad Amorosi (che non a caso avevo richiamato rivolgendomi a Visalli, in quanto presente in quell’occasione), questi ed altri documenti sono stati nuovamente citati, e in parte letti in sala, parlandone chiaramente come di fatti penalmente rilevanti, senza che nessuno abbia ritenuto di chiedere chiarimenti in merito. Io, personalmente, non credo che si trattasse di azioni penalmente rilevanti, ma erano senz’altro scorrette ed inopportune: infatti le ho definite pressioni indebite (se avessi prove di fatti illeciti, li denuncerei immediatamente alle Autorità Competenti, così come ho sempre fatto nell’ambito del mio lavoro).
In ogni caso si trattava, oggettivamente, di tentativi di condizionamento di amministratori pubblici e politici affinché si potessero “armonizzare” i piani provinciali al loro progetto. Non credi che siano i progetti, invece, che devono armonizzarsi agli strumenti di pianificazione e che, semmai, se ne debba parlare con i tecnici, e non con i politici?
4) Per quanto riguarda, appunto, l’Ufficio Tecnico di San Salvatore Telesino, il Dirigente ha riferito più volte di non aver mai formalmente ricevuto il progetto VOCEM per il rilascio delle autorizzazioni di competenza dell’ufficio stesso fino al luglio del 2007; ciò sembra confermato anche da una Sua comunicazione al sindaco del 23.07.2007, con la quale rappresentava di non poter esprimere un parere urbanistico in quanto gli elaborati trasmessi il 19.07.2007 erano carenti. Al momento, sulla base anche della conoscenza delle norme, soprattutto quelle sul pubblico impiego e sul governo degli enti locali, non ho motivi per dubitare delle parole di un collega. D’altra parte anche in una lettera alla VOCEM del 28.11.2005 si parla di incontri fra i tecnici della VOCEM e i consiglieri comunali, e si rappresentava che il progetto doveva poi essere valutato dai tecnici del comune, e quindi portato in consiglio comunale, aperto alla cittadinanza …
A me non risulta che tutto ciò sia avvenuto. Ma forse mi sbaglio. C’è qualcuno che può chiarire davvero che cosa è successo? Io non ho altri elementi.
In particolare, a me non è proprio mai venuto in mente che qualcuno possa aver “cambiato le carte del gioco e del progetto”.
Risulta senz’altro che la VOCEM abbia, ad un certo punto, cambiato il suo progetto iniziale, e abbia cominciato a parlare di CDR, come detto sopra, e sembra che sia Tu che il sindaco abbiate, solo a quel punto , contestato il procedimento. Ma non so chi deteneva, in quel momento, quel progetto presso il comune, e non posso proprio dare un contributo: io ho potuto visionare solo i documenti che gli Enti interessati hanno rilasciato a seguito di istanze ai sensi delle norme sull’accesso agli atti. Non so cosa Tu abbia voluto dire, e non capisco perché dovrei adoperarmi io per fare ulteriori verifiche, né, tantomeno, per integrare gli atti amministrativi in Tuo possesso, se non, eventualmente, dopo che li avrai resi noti a tutti. In ogni caso non credo che il comune sia abitato da fantasmini!
5) Non voglio affatto fare il “censore”, tantomeno “severo”, dei politici: siamo tutti, o dovremmo essere tutti, politici, nel senso di interessarci della cosa pubblica, e, soprattutto, i politici non sono tutti uguali. Rivendico solo il diritto di discutere, e criticare, se del caso, l’azione politica di chi ha deciso, decide e deciderà in futuro, per mio conto, anche, delle cose del mio paese, della mia provincia, della mia regione, e così via fino al pianeta, insomma del territorio in cui vivo.
Un’ultimissima cosa: ho atteso un po’ per risponderTi, pensando, sinceramente, che Tu avresti smentito di essere l’autore di questa cosa (ma, ancora una volta, mi sbagliavo). Vorrei ora fare io una domanda a Te: a chi giova tutto ciò?

INCENERITORE: RISPOSTA A VISALLI.

San Salvatore Telesino, 6 dicembre 2008.

Egregio architetto Visalli,
il suo intervento di oggi su Vivitelese merita senz’altro delle contro-risposte. Le rappresento la mia, che mi sono sforzato di elaborare in modo quanto più possibile equilibrato, temo senza riuscire nell’intento.
La reazione immediata a quanto da Lei scritto è stata la seguente: “ma vedi da che PULPITO viene la predica”.
Ho ben presente che Lei è solo (?) un CONSULENTE della “non più VOCEM” e non “la VOCEM”, e dunque ammetto che Lei possa non conoscere nei dettagli, o anche aver semplicemente dimenticato alcune delle vicende iniziali di questo “procedimento amministrativo” che, secondo Lei, non dovrebbe subire condizionamenti politici. Tuttavia non dovrebbe avere difficoltà a riconoscere che fu proprio la VOCEM a condizionare i politici locali ( e non solo), con pressioni che, se non proprio illecite, furono senz’altro indebite.
Cito, fra i tanti episodi che sono emersi dall’esame degli “atti ufficiali” (e figuriamoci il resto …), le richieste ad un esponente politico locale di intercedere con il governo della provincia di Benevento per far modificare il piano energetico in modo da renderlo “congruente” con il progetto VOCEM: interessi economici privati “particolari” che tentano di condizionare uno strumento di pianificazione che dovrebbe essere volto esclusivamente alla tutela dell’interesse collettivo! Lo ha ascoltato l’altra sera nel corso dell’assemblea ad Amorosi: non trova che sia stato un atto contrario alle regole? Per Noi è una cosa indegna e scandalosa, come minimo.
Fu la VOCEM a cercare, prima, una “sponda politica”, e solo poi, ottenute le necessarie “garanzie”, ad attivare un procedimento amministrativo. Il tutto nel più rigoroso “SILENZIO”, sia da parte della società che da parte delle Istituzioni.
Anche l’Ufficio Tecnico del comune di San Salvatore, come risulta dagli atti, è stato tenuto all’oscuro di tutto fino a pochi giorni prima della seconda riunione della conferenza dei servizi (la prima fu rinviata perché c’erano le elezioni, si ricorda? Altro condizionamento politico!).
Dunque, non comprendo come Lei ci possa dare lezioni per conto di certi “soggetti”. A meno che …
Di quali “regole del gioco” parla, architetto Visalli?
Spero di aver capito male, ma a me sembra, a questo punto, che Lei non voglia riferirsi alle regole costituzionali del funzionamento delle Istituzioni democratiche, che dovrebbero ispirarsi, in primo luogo, a principi di assoluta trasparenza, e dovrebbero tendere al benessere dei cittadini, e che Lei non stia invocando il principio dell’indipendenza degli uffici amministrativi dagli organi politici.
Sono le “regole del gioco” (sporco) dei poteri economici, che prosperano proprio “condizionando” le istituzioni pubbliche, e la politica che, Noi, non vogliamo accettare, mentre invece le regole democratiche non le mettiamo minimamente in discussione. E fra queste, c’è senz’altro il diritto di manifestare ai nostri rappresentanti politici quello che vorremmo che facciano nel nostro interesse.
Noi crediamo che la politica debba regolare la gestione, nell’interesse dei cittadini, dei BENI COMUNI, fra i quali collochiamo al primo posto la SALUTE, e non essere invece “sponda istituzionale” di società private come quella che Lei “serve”.
Il progetto VOCEM era un INGANNO che, per fortuna, è stato smascherato: non si trattava di un impianto pulito per la produzione di energia da fonti rinnovabili, come si è cercato di far credere, ma di un INCENERITORE di RIFIUTI.
Lei, d’altra parte, lo ha sempre correttamente riconosciuto.
Certamente i politici “avvicinati” dalla VOCEM non avevano invece ben compreso cosa gli si chiedeva di “sostenere”, e dunque sono stati ingenui, a volere essere generosi; ma chi li ha ingannati fu la società che Lei oggi rappresenta. E’ quella società che ha violato, per il proprio interesse, le “regole del gioco”.
Noi cittadini della Valle Telesina, al contrario di ciò che Lei sostiene, chiediamo proprio il rispetto di quelle regole democratiche che impongono il coinvolgimento delle popolazioni interessate nei procedimenti come quello per il quale Lei lavora, coinvolgimento che è mancato completamente: nessuna informazione, nessuna possibilità di esprimere il proprio parere prima dell’avvio della fase autorizzativa, nessuna reale possibilità di accesso a tutti gli atti del procedimento, e così via.
Ora stiamo legittimamente chiedendo ai NOSTRI rappresentanti politici, o aspiranti tali, di fare quello che essi hanno promesso di fare in questi mesi: IMPEDIRE LA REALIZZAZIONE DI UN PROGETTO che riteniamo DANNOSO per la SALUTE, DELETERIO per il NOSTRO TERRITORIO, PREGIUDIZIEVOLE DEI NOSTRI INTERESSI ECONOMICI, e, peraltro, non conforme al piano urbanistico comunale e al piano energetico provinciale (come riconosciuto dalla stessa VOCEM), né al nuovo P.T.R., e che NESSUNO VUOLE, tranne, evidentemente, chi ci ha guadagnato o ci deve guadagnare qualcosa.
E Lei è certamente uno che non può definirsi disinteressato, per cui le rivolgiamo la preghiera di evitarci, in futuro, le sue favole e le lezioni di morale, e di non chiederci di rispettare quelle regole che, prima di Noi, proprio la VOCEM ha calpestato.
Tutti gli altri sostenitori dell’iniziativa ex VOCEM sono invitati a manifestarsi, perché vorremmo conoscerli, per evitarli in futuro, soprattutto se sono politici, o se aspirano a diventarlo.
Noi vogliamo che gli investimenti pubblici siano destinati al risparmio energetico, prima di tutto, e che il NOSTRO TERRITORIO possa ospitare VERI impianti per l’auto-produzione diffusa di energia pulita: solare e mini-eolico su tutte le case, sulle strutture per attività produttive e sugli edifici pubblici, a vantaggio di tutti, e, anche, piccoli impianti per la valorizzazione di biomasse vergini reperite in loco, a servizio delle nostre case, delle nostre scuole e delle nostre aziende. E vogliamo che si faccia raccolta differenziata, riduzione, recupero, riuso, riciclaggio, e che il territorio sia salvato dalla cementificazione selvaggia, e che il paesaggio sia tutelato, e …
… e speriamo che “la politica” ci ascolti.

mercoledì 28 gennaio 2009

LETTERA APERTA AL SINDACO

SUL NUOVO P.U.C. di SAN SALVATORE TELESINO.
(marzo 2008)
Caro Sindaco,
abbiamo letto con attenzione la delibera di Giunta n. 179 del 20.12.2005, il verbale 35 del 29.12.2004 del Consiglio Comunale, e la determinazione n. 69 del 28.03.2006 dell’Area tecnica-manutentiva del Comune di San Salvatore Telesino, tutte inerenti l’avvio della procedura di redazione del nuovo Piano Urbanistico Comunale (P.u.c.), che dovrà regolamentare per i prossimi anni la tutela ambientale e le trasformazioni urbanistiche ed edilizie del nostro territorio.
Poi, il 19 febbraio scorso, abbiamo partecipato all’incontro informativo sul nuovo P.u.c. e sugli obiettivi che si è posti l’Amministrazione di San Salvatore, e abbiamo seguito con interesse l’illustrazione dei primi risultati del lavoro affidato al gruppo di lavoro guidato dal Prof. Ing. Ferrigni, apprezzando la volontà di coinvolgere in forma di ampia partecipazione la comunità di San Salvatore rappresentata in tutte le sue componenti.
Siamo convinti, infatti, che la partecipazione attiva, e fattiva, dei cittadini potrà contribuire alla realizzazione di un piano realmente orientato all’interesse della nostra comunità, sia dal punto di vista della vivibilità che dal punto di vista socio-economico, migliorando la qualità del nostro ambiente di vita, sia individuale che collettivo.
D’altra parte, la legge prevede espressamente la partecipazione dei cittadini all’iter di elaborazione ed adozione del P.u.c., e auspichiamo di avere la possibilità, ampia e concreta, non solo di essere ascoltati, ma anche di proporre il nostro punto di vista, assieme agli altri. Non è sufficiente illustrare quali scelte saranno state fatte, e nemmeno ci interesseranno le motivazioni di tali scelte, per quanto giuste e condivisibili possano essere, se esse saranno state già fatte; e chiediamo invece che tutte le istanze vengano discusse adeguatamente, e in modo trasparente, prima che le decisioni vengano assunte.
In ogni caso siamo determinati ad esercitare un attento e continuo controllo democratico sulle attività tecniche ed amministrative relative all’intera procedura, e chiediamo dunque che siano garantite adeguate forme di pubblicità, che sia assicurata la consultazione dei cittadini, e che questi possano partecipare attivamente alla formazione del piano.
Sin da ora chiediamo che il piano (e dunque tutto ciò che riguarda le attività che comporteranno una trasformazione significativa del territorio, sia di iniziativa pubblica che per quelle private), ponga attenzione alla qualità del territorio e che tutte le scelte siano indirizzate alla tutela dell’interesse pubblico e del bene comune.
Soprattutto, non vogliamo che il nostro paese segua l’esempio di Telese Terme, assolutamente negativo, di devastazione del territorio per soli fini speculativi, con problemi e storture edilizie ed urbanistiche i cui risultati sono e resteranno a lungo sotto i nostri occhi. Le speculazioni edilizie dovranno essere se non vietate, almeno rese difficili ed economicamente svantaggiose.
Inoltre, chiediamo che il Puc preveda e consenta solo interventi di trasformazione compatibili con le esigenze di salvaguardia delle risorse naturali, paesaggistico-ambientali, agro-silvo-pastorali e storico-culturali del nostro territorio, vincolando rigidamente le trasformazioni fisiche e funzionali ammissibili nelle singole zone in un ottica di sviluppo eco-sostenibile del territorio comunale.
In particolare il P.u.c. dovrà indicare precise e rigide regole per la tutela e valorizzazione del paesaggio agrario attraverso la classificazione dei terreni agricoli, vietando l’ulteriore utilizzo di aree agricole ad alta produttività per insediamenti produttivi, fatti salvi gli interventi realizzati dai coltivatori diretti o dagli imprenditori agricoli.
Ribadiamo in questa sede le proposte già avanzate, che da subito vogliamo vengano attentamente valutate e considerate dai tecnici e dagli amministratori:

Ø Bioarchitettura: applicare i criteri della bioarchitettura, e dunque introdurre prescrizioni specifiche, e un puntuale e preciso sistema di incentivi/disincentivi sugli indici, affinché progettisti e costruttori tengano conto della salute e del benessere di coloro che dovranno abitare/usare le costruzioni, e delle più generali esigenze di contenimento dei consumi energetici, sia in fase di costruzione che di esercizio, della riutilizzabilità/riciclabilità dei prodotti e materiali utilizzati, ecc.
Ø Sostenibilità e tutela del paesaggio: effettuare un dimensionamento congruo del piano, tenendo conto delle reali esigenze di crescita demografica, e privilegiando il recupero delle costruzioni già esistenti rispetto alle nuove edificazioni.
Le speculazioni, sia residenziali che di nuovi insediamenti produttivi, dovranno essere impedite, riducendo gli indici di fabbricabilità (soprattutto quelli relativi al rapporto fra l’area di intervento e la superficie coperta di intervento), riducendo le altezze degli edifici, aumentando le distanze, salvaguardando il verde e riducendo al minimo indispensabile le aree impermeabili all’acqua, con introduzione, inoltre, di prescrizioni ed incentivi per la riduzione dei consumi d’acqua e di energia, sistemi di recupero delle acque reflue e delle acque piovane, ecc.
Ø Risparmio energetico e fFonti rinnovabili: introdurre precise disposizioni, oltre le prescrizioni normative, per incentivare il contenimento dei consumi energetici e l’uso di energia auto-prodotta da fonti rinnovabili, oltre le prescrizioni normative, il cui rispetto dovrà essere rigorosamente verificato.
Ø Inquinamento e mobilità: introduzione di misure specifiche per l’inquinamento acustico, elettromagnetico, luminoso, e programmazione di nuove infrastrutture adeguata alle esigenze, con particolare riferimento a quelle per la mobilità, con specifiche e rigorose prescrizioni per i parcheggi pubblici e privati, per i percorsi pedonali e ciclabili, per le aree verdi e gli spazi di relazione.
Ø Aree per attività produttive: divieto di realizzare nuovi manufatti per attività produttive al di fuori dell’area PIP, comunque da limitare al massimo nell’estensione, cancellazione dell’art. 25 delle vecchie n.t.a., e divieto di trasformazione delle strutture già esistenti per l’utilizzo delle stesse per attività pericolose per la salute e dannose per l’ambiente.

Chiediamo pertanto:

Ø un paese a misura delle bambine e dei bambini: gli alunni delle scuole elementari e medie dovrebbero essere coinvolti con questionari e magari con un concorso di composizione, disegno, fotografia, prodotti multimediali e altre forme espressive, in modo da poter manifestare le loro idee e le loro aspettative rispetto alle future trasformazioni del territorio in cui vivono (alleghiamo un esempio di scheda che può essere distribuiti nelle scuole a cura dell’Amministrazione comunale). Chiederebbero sicuramente piste ciclabili, isole pedonali e percorsi protetti per andare a scuola, luoghi di aggregazione e di relazione, aree verdi, strutture per la pratica sportiva, spazi per giocare tranquilli, … e certamente, se gli daremo la possibilità di esprimersi,e se li sapremo ascoltare, ci fornirebbero intuizioni geniali, che potrebbero diventare progetti e buone pratiche, così come in tante realtà già è avvenuto (si vedano le iniziative, per esempio, della Provincia di Bergamo – FONTE: http://www.cittasostenibili.minori.it/);
Ø edifici progettati e costruiti con i criteri della bioedilizia: il Regolamento edilizio deve essere interamente orientato all’edilizia bio-eco-logica, con prescrizioni vincolanti per ogni intervento, raccomandazioni e forme di incentivazione per gli interventi con soluzioni migliorative rispetto alle caratteristiche prestazionali stabilite dalle norme o dallo stesso regolamento (esempi da prendere a riferimento: comuni di Padova, Modena, Firenze, Grosseto, Faenza, Rigano sull’Arno, e tanti altri – notizie utili su: www.iris.ba.cnr.it/RE/Seminario/Atti/Maiellaro.htm);
Ø attenzione alla tutela del paesaggio e alla salvaguardia della biodiversità: il prossimo P.u.c., in conformità con la legislazione italiana, che ha approvato e recepito, nel gennaio 2006, la Convenzione Europea del Paesaggio (la quale valorizza fortemente il punto di vista delle Comunità nella lettura, interpretazione e tutela-riqualificazione del paesaggio locale), abbia esplicitamente fra i suoi obiettivi la tutela del paesaggio e l’incremento della biodiversità, la valorizzazione delle conoscenze diffuse e dei saperi locali, la conservazione dei corridoi ecologici, la preservazione delle aree agricole come risorsa primaria, la difesa delle capacità produttive agro-alimentari locali, anche con incentivi al biologico e al biodinamico (rif.: coordinamento strategia europea per la biodiversità, osservatorio europeo del paesaggio, modelli di gestione delle aree agricole periurbane – http://www.parks.it/ - http://www.hispa.it/);
Ø adesione ai principi e alle metodologie di Agenda 21: nella definizione delle regole edilizie ed urbanistiche, deve essere considerata come prioritaria la riduzione degli impatti ambientali, dei consumi di energia e delle risorse naturali (gli strumenti di pianificazione territoriale devono promuovere qualità edilizia, risparmio energetico, uso delle fonti rinnovabili di energia, risparmio idrico e recupero, depurazione e riutilizzo, per gli usi compatibili, delle acque reflue, ecc. - rif.: http://www.a21italy.it/ );
Ø attenzione alla sicurezza di persone e cose: riduzione della vulnerabilità sismica diretta dei manufatti (edifici e infrastrutture), controllo dell’esposizione di persone e di beni al pericolo sismico, e applicazione delle norme di protezione rispetto agli eventi sismici e ai dissesti idrogeologici, con particolare riferimento agli edifici pubblici e segnatamente alle scuole, coerenza con il piano di protezione civile, controlli sulla sicurezza dei cantieri e delle opere realizzate, riduzione dei prodotti di sintesi chimica, pericolosi sia nella fase dei lavori che in esercizio, e incentivi all’utilizzo di prodotti e materiali naturali, sani e perfettamente riciclabili;
Ø rigide norme di salvaguardia: l’attività edilizia, nelle more della definitiva approvazione del nuovo P.u.c., deve essere rigidamente controllata, consentendo gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici esistenti e la realizzazione di residenze unifamiliari, e bloccando speculazioni edilizie e la realizzazione di nuove strutture produttive (ostacolando così anche la realizzazione dell’inceneritore).

In conclusione chiediamo che sia costituito un tavolo di ascolto e di confronto permanente, dove tutti possano apportare in qualsiasi momento, nell’interesse comune, idee, proposte innovative, esperienze che potranno essere integrate nel piano, quando siano riconosciute di interesse comune.

Un Sindaco, un’amministrazione comunale, insieme ai cittadini, possono intervenire concretamente sul proprio territorio, attraverso strumenti ed azioni reali basati sul rispetto per l’ambiente e per i beni comuni, l’amore e la promozione della cultura, l’integrazione sociale: il nuovo P.u.c. di San Salvatore Telesino è una straordinaria occasione per incidere, insieme, su tutti e tre questi aspetti, per programmare una politica complessiva di sostenibilità ambientale, di rispetto delle tradizioni culturali e storiche, di amore e cura per i bambini e per gli anziani, perché un paese a loro misura è un paese su misura per tutti.
Non lasciamoci sfuggire questa occasione.

IL NUOVO STRUMENTO URBANISTICO DI SAN SALVATORE TELESINO

UN PRIMO ESERCIZIO DI PARTECIPAZIONE DEMOCRATICA ?
(febbraio 2008)

Signori architetti
che fate progetti
precisi e perfetti
di case e palazzi,
di torri e terrazze,
di enormi quartieri …
che bravi che siete!
Talvolta però,
scusatemi un po’,
siete anche distratti.

Un pezzo di prato
l’avete lasciato?
Su siate gentili:
fate anche i cortili.
Pensateci un poco
ai campi da gioco.

Carletto Epistola,
in Gianni Rodari
Il pianeta AccaZeta, Giunti.


Il comune di San Salvatore Telesino ha avviato la procedura per la redazione del nuovo piano urbanistico che dovrà sostituire il vecchio P.R.G. risalente al 1981 ed adottato nel 1984 (deliberazione della Giunta n. 179 del 20.12.2005 e successiva delibera del Consiglio n. 35 del 15.01.2006).
A seguito della pubblicazione del relativo avviso pubblico (dal 12.01.2006 all’1.02.2006, l’incarico professionale è stato affidato all’unico tecnico che ha fatto richiesta di partecipazione, ovvero il prof. Ing. Ferruccio Ferrigni, già progettista del P.R.G. vigente (determinazione n. 69 del 28.03.2006 dell’Area tecnica-manutentiva del Comune – valore dell’incarico €. 85.000,00 oltre IVA e C.P.).
Dopo quasi due anni, martedì 19 febbraio 2008, alle ore 18.00, presso la sala conferenze dell’ex Municipio, in Piazza Plebiscito, l’Amministrazione ha fissato un primo incontro con i cittadini per discutere del nuovo Piano Urbanistico Comunale (P.u.c.), che, almeno per i prossimi 10 anni dovrà disciplinare la tutela ambientale e le trasformazioni urbanistiche ed edilizie dell'intero territorio comunale.
Secondo quanto stabilito dalla norma, la pianificazione territoriale e urbanistica deve perseguire, fra gli altri, i seguenti obiettivi:
a) promozione dell’uso razionale e dello sviluppo ordinato del territorio urbano ed extraurbano mediante il minimo consumo di suolo;
b) salvaguardia della sicurezza degli insediamenti umani dai fattori di rischio idrogeologico, sismico e vulcanico;
c) tutela dell’integrità fisica e dell’identità culturale del territorio attraverso la valorizzazione delle risorse paesistico-ambientali e storico-culturali, la conservazione degli ecosistemi, la riqualificazione dei tessuti insediativi esistenti e il recupero dei siti compromessi;
d) miglioramento della salubrità e della vivibilità dei centri abitati;
e) potenziamento dello sviluppo economico regionale e locale;
f) tutela e sviluppo del paesaggio agricolo e delle attività produttive connesse.
Perché questi obiettivi possano essere perseguiti, è indispensabile la partecipazione di tutti i soggetti portatori di interessi, e quindi di tutti i cittadini.
In effetti la citata delibera del Consiglio Comunale n. 35 del 15.01.2006 dà atto del fatto che l’iter di approvazione del nuovo Piano dovrà coinvolgere in forma di ampia partecipazione la comunità di San Salvatore rappresentata in tutte le sue componenti.
E’ auspicabile che possa essere davvero così, e non perché qualcuno vuole sentirsi coinvolto, o vuol poter dire la sua per mettersi in mostra o, peggio, perché vuole condizionare, magari per interessi privati, scelte che dovrebbero guardare esclusivamente all’interesse collettivo. Al contrario, solo la partecipazione, e la vigilanza, di un numero significativo di cittadini, potrà garantire la redazione di un piano realmente orientato all’interesse della comunità di San Salvatore Telesino.
Le scelte che dovranno essere fatte saranno decisive per il nostro futuro. Nessuno può sentirsene escluso.
La norma prevede espressamente la partecipazione dei cittadini (anche se c’è il rischio che essa intervenga solo a cose fatte, e con l’unica prerogativa di proporre osservazioni), e le intenzioni dei nostri amministratori sembrano buone, e tuttavia bisogna essere vigili: Renzo Piano, il più celebrato degli architetti italiani, e promotore di diversi progetti di architettura partecipata, ha ammonito in un’intervista: “si pensa che l’architettura partecipata sia una sorta di persuasione, serva per convincere la gente ad accettare i propri punti di vista. Nulla di più sbagliato. Ancora oggi, ogni volta che mi confronto con un nuovo progetto, vado a parlare con gli abitanti del quartiere, non per convincerli, piuttosto per capirne i segreti. Il dialogo con la gente consente di fare progetti migliori. Ascoltare è difficilissimo, anche perché le voci che potrebbero dire davvero qualcosa di significativo sono le più leggere, quelle che gridano meno forte”.
Anche la normativa regionale in materia di urbanistica (legge regionale n. 16 del 22 dicembre 2004 – norme sul governo del territorio), prevede esplicitamente la partecipazione dei cittadini all’iter di elaborazione ed adozione del P.u.c.
Devono dunque essere garantite adeguate forme di pubblicità, deve essere assicurata la consultazione dei cittadini, e questi devono poter partecipare attivamente alla formazione del piano[1].
La pianificazione territoriale e urbanistica disciplina con un sistema normativo e di vincolo tutte le attività di iniziativa sia pubblica che privata che comportano una trasformazione significativa del territorio, definendo:
a) per le attività pubbliche, la programmazione degli interventi da realizzare;
b) per le attività private, l’incentivazione delle iniziative riconosciute come concorrenti al miglioramento della qualità del territorio e corrispondenti all’interesse pubblico.

Più nel dettaglio, il piano urbanistico comunale, ovvero lo strumento urbanistico generale del Comune, che, come già detto, disciplinerà nei prossimi anni la tutela ambientale, le trasformazioni urbanistiche ed edilizie dell’intero territorio comunale, anche mediante disposizioni a contenuto conformativo del diritto di proprietà, in coerenza con le disposizioni del Ptr (Piano territoriale regionale) e del Ptcp (Piano territoriale di coordinamento provinciale), dovrà conseguire gli obiettivi nel governo del territorio comunale e gli indirizzi per l’attuazione degli stessi.
Fra l’altro, il Puc dovrà definire gli elementi del territorio urbano ed extraurbano raccordando la previsione di interventi di trasformazione con le esigenze di salvaguardia delle risorse naturali, paesaggistico-ambientali, agro-silvo-pastorali e storico-culturali disponibili, nonché i criteri per la valutazione degli effetti ambientali degli interventi stessi.
Inoltre, dovrà stabilire la suddivisione del territorio comunale in zone omogenee, individuando le aree non suscettibili di trasformazione, e indicare le trasformazioni fisiche e funzionali ammissibili nelle singole zone, garantendo la tutela e la valorizzazione dei centri storici nonché lo sviluppo sostenibile del territorio comunale.
Ancora dovrà indicare prescrizioni per la tutela e valorizzazione del paesaggio agrario attraverso la classificazione dei terreni agricoli, anche vietando l’utilizzazione ai fini edilizi delle aree agricole particolarmente produttive fatti salvi gli interventi realizzati dai coltivatori diretti o dagli imprenditori agricoli.
Infine dovrà assicurare la piena compatibilità delle previsioni urbanistiche rispetto all’assetto geologico e geomorfologico del territorio comunale, così come risultante da apposite indagini di settore preliminari alla redazione del piano.

Al P.u.c. saranno allegate le Norme tecniche di attuazione (Nta), che regolamenteranno la manutenzione del territorio e la manutenzione urbana, il recupero, la trasformazione e la sostituzione edilizia, il supporto delle attività produttive, il mantenimento e lo sviluppo dell'attività agricola e, più in generale, la regolamentazione dell'attività edilizia.
Saranno inoltre redatti il piano di zonazione acustica, la Valutazione Ambientale Strategica (V.A.S.) e la Carta dell’uso del suolo ai fini agricoli e forestali.
Fanno parte integrante del Puc i piani di settore riguardanti il territorio comunale, ivi inclusi i piani riguardanti le aree naturali protette e i piani relativi alla prevenzione dei rischi derivanti da calamità naturali ed al contenimento dei consumi energetici.
Per la prima volta i Piani Comunale devono essere accompagnati da uno studio di Impatto sull'Ambiente, ed i P.u.c. devono tutelare e valorizzare il paesaggio agrario, anche attraverso il divieto di edificazione nelle zone di colture pregiate.
Inoltre, per la prima volta l'architettura contemporanea entra nella nostra normativa, nei contenuti del PUC, che la deve promuovere, anche e prevalentemente attraverso i concorsi di progettazione.
Lo Sportello Unico Urbanistico sarà l'unico interlocutore per i cittadini atto a risolvere tutte le problematiche riguardanti l'edilizia.

Le fasi di formazione del Piano urbanistico comunale, e i tempi di realizzazione, in sintesi, sono i seguenti.
1. La giunta comunale, previa consultazione delle organizzazioni sociali, culturali, economico–professionali, sindacali ed ambientaliste di livello provinciale, predispone la proposta di P.u.c. La proposta, comprensiva degli elaborati previsti dalla vigente normativa statale e regionale e delle Nta, è depositata presso la segreteria del comune.
Del deposito è data notizia sul bollettino ufficiale della regione Campania e su due quotidiani a diffusione provinciale.
2. Nel termine di quaranta giorni dalla pubblicazione (comuni con popolazione inferiore a cinquemila abitanti) chiunque può presentare osservazioni in ordine alla proposta di Puc.
3. Entro sessanta giorni dalla scadenza del termine di cui al comma 2 (comuni con popolazione inferiore a cinquemila abitanti), il consiglio comunale esamina le osservazioni, adegua, la proposta di Puc alle osservazioni accolte ed adotta il Puc.
4. Il piano adottato è trasmesso alla provincia per la verifica di compatibilità con gli strumenti di pianificazione territoriale sovraordinati e di conformità con la normativa statale e regionale vigente.
5. La verifica è affidata all’assessorato provinciale competente nella materia dell’urbanistica, ed è conclusa entro novanta giorni dalla data di ricezione del piano, corredato di tutti gli allegati previsti dalla normativa vigente. Trascorso tale termine, la verifica si intende positivamente conclusa.
6. In caso di esito negativo della verifica, il Presidente della provincia, nei quindici giorni successivi alla scadenza di cui al comma 5, convoca una conferenza di servizi alla quale sono invitati a partecipare il sindaco, o un assessore da lui delegato, e i dirigenti delle strutture provinciali e comunali competenti. La conferenza è presieduta dal presidente della provincia o da un assessore da lui delegato.
7. La conferenza apporta, ove necessario, modifiche al Puc, al fine di renderlo compatibile con gli atti di pianificazione territoriale sovra-ordinati e conforme alla normativa statale e regionale vigente. La conferenza conclude i lavori nel termine di trenta giorni dalla convocazione.

Gli esiti della conferenza di cui al comma 6 saranno ratificati dal consiglio comunale entro venti giorni dalla loro comunicazione, pena la decadenza dei relativi atti.
Il Puc dovrà essere quindi approvato, con decreto del presidente della provincia, previa delibera di giunta provinciale, e sarà pubblicato sul bollettino ufficiale della regione Campania. Della pubblicazione sarà data notizia mediante avviso su due quotidiani a diffusione provinciale. Decorsi quindici giorni dalla pubblicazione, il Puc entrerà in vigore ed acquisterà efficacia a tempo indeterminato.

Siamo, vogliamo crederci, nella primissima fase di formazione del piano, ovvero quella in cui con più efficacia possono essere avanzate le proposte dei cittadini, che da subito vogliamo vengano attentamente valutate e considerate.

Le richieste principali sulle quali chiediamo attenzione ai tecnici e agli amministratori, sono le seguenti:
a) massima trasparenza: ovvero disponibilità di tutti gli elementi e dati preliminari alla formazione del piano (rilievo della situazione attuale, aerofotogrammetrie, rilievi, risultati di tutte le indagini già effettuate, e delle previsioni di crescita demografica: dovranno essere rese tutte disponibili sul sito internet del Comune, così come tutte le versioni del piano nelle sue successive stesure.
b) Vera partecipazione: possibilità di presentare proposte e osservazioni in qualunque fase del procedimento, da parte di tutti i “portatori di interessi”, e diritto a ricevere comunque una risposta, il tutto sempre in modo pubblico, perché l’interesse collettivo prevalga su quelli privati.
c) Bioarchitettura: caratterizzare il piano, in modo marcato e concreto, con i criteri della bioarchitettura, così come promesso negli ultimi due programmi elettorali della attuale maggioranza (e dunque introdurre prescrizioni specifiche, e un puntuale e preciso sistema di incentivi/disincentivi sugli indici, affinché chi costruirà nei prossimi anni, lo faccia tenendo conto della salute e del benessere di coloro che dovranno abitare/usare le costruzioni, e delle più generali esigenze di contenimento dei consumi energetici, sia in fase di costruzione che di esercizio, della riutilizzabilità/riciclabilità dei prodotti e materiali utilizzati, ecc.).
d) Sostenibilità e tutela del paesaggio: privilegiare il recupero delle costruzioni già esistenti rispetto alle nuove edificazioni, e dimensionare correttamente il piano, impedire le speculazioni sia residenziali che di nuovi insediamenti produttivi, riducendo gli indici di fabbricabilità (soprattutto quelli relativi al rapporto fra l’area di intervento e la superficie coperta di intervento), e ancora, ridurre le altezze degli edifici, aumentare le distanze, salvaguardare il verde e ridurre al minimo indispensabile le aree impermeabili all’acqua, introduzione di prescrizioni per la riduzione dei consumi d’acqua e di energia, sistemi di recupero delle acque reflue e delle acque piovane, ecc.
e) Risparmio energetico e fonti rinnovabili: introdurre precise disposizioni per incentivare il contenimento dei consumi energetici e l’uso di energia auto-prodotta da fonti rinnovabili, oltre le prescrizioni normative, il cui rispetto dovrà essere rigorosamente verificato.
f) Inquinamento e mobilità: misure specifiche per l’inquinamento acustico, elettromagnetico, luminoso, e un sistema attento per dimensionare le infrastrutture, con particolare riferimento a quelle per la mobilità, con specifiche e rigorose prescrizioni per i parcheggi pubblici e privati, per i percorsi pedonali e ciclabili, per le aree verdi e gli spazi di relazione.
g) Aree per attività produttive: divieto di realizzare nuovi manufatti per attività produttive al di fuori delle aree che saranno appositamente individuate (art. 25 vecchie n.t.a.) e divieto di trasformazione delle strutture già esistenti per l’utilizzo delle stesse per attività pericolose per la salute e dannose per l’ambiente.

Questa opportunità non va sprecata, il Piano Urbanistico e le scelte che ne seguono, determinano e possono segnare in maniera incisiva, nel bene e nel male, la vita di un paese. Abbiamo esempi di Urbanistica pregevole, che presenta pratiche ed idee-modello che potremmo imitare o rilanciare, ma abbiamo anche esempi che ci circondano, non molto distanti, da cui rifuggire o a cui guardare come esempi negativi di pianificazione del territorio.
Soltanto partecipando possiamo esercitare le giuste pressioni per realizzare le buone pratiche di urbanistica, edilizia e pianificazione del territorio che ci vengono suggerite dai buoni esempi che pure non mancano.
Soltanto partecipando a questa occasione che ci viene offerta, possiamo fare in modo che non vengano replicati i problemi e le storture edilizie ed urbanistiche che possiamo ravvisare nelle cattive pratiche che, purtroppo, anche esse ricorrono numerose e i cui risultati sono e resteranno, purtroppo a lungo sotto i nostri occhi.

Invitiamo pertanto i cittadini ad intervenire numerosi per esercitare, mai come in questa occasione, il proprio diritto-dovere di condivisione delle scelte e di controllo democratico delle attività amministrative che ne determineranno il proprio futuro e, a lungo, la propria qualità della vita.


“Io penso che nessun fine, per quanto ritenuto giusto, valga il sacrificio di tante idee e di tanta creatività che è nella testa di coloro che la città la abitano e che forse è la partecipazione il fine di una democrazia e magari il piano lo strumento, uno fra i tanti mezzi, per contribuire a rendere concrete quelle idee”.

Enzo Scandurra (docente di ingegneria del territorio a La Sapienza di Roma) in Città morenti e città viventi (Meltemi Babele Ed. – 2003)
[1] Articolo 5 - Partecipazione e pubblicità nei processi di pianificazione.
Alle fasi preordinate all’adozione e all’approvazione degli strumenti di pianificazione sono assicurate idonee forme di pubblicità, di consultazione e di partecipazione dei cittadini, anche in forma associata, in ordine ai contenuti delle scelte di pianificazione.

ALLA RICERCA DEI LUOGHI DELL'ANIMA

(tratto da C.Longo, P.Santillo, Architettura e Psicologia:alla ricerca dei luoghi dell’anima, in A.S.P., anno VIII, n.10, aprile 2001)

Sempre più, osservando l’azione incontrollata dell’uomo sulla natura e sull’ambiente, avvertiamo attoniti, e in parte responsabili, un progressivo sradicamento: città tutte uguali, cementificazione, luoghi fisici e palazzi che sembrano fatti per “ingabbiare” le persone anziché dar loro conforto, riparo e nutrimento. Viene così a mancare l’appagamento di quell’arcaico bisogno di contenimento, calore, appartenenza. Ed è anche per questo che sentiamo pressante un’altro bisogno, quello di ritrovare l’anima. “Ciascuno ha bisogno del suo posto quale casa per l’anima, e non quale scatola per il corpo”.(1) Il benessere dell’uomo, fisico, psichico e spirituale, è legato imprescindibilmente al suo ambiente. E dal momento che l’uomo, nelle civiltà occidentali, trascorre in media il 90% del suo tempo in spazi confinati (casa, scuola, ufficio,…), l’architettura assume un’importanza enorme per la salute psico-fisica e sociale. Il sapere, per esempio, che molte delle “malattie mentali” e psichiche sono influenzate dalle condizioni ambientali (la casa, il quartiere, la città), dovrebbe far riflettere tutti i progettisti, ma anche i costruttori, sulle enormi conseguenze che la loro attività può avere sulla salute della persona, così come gli psicologi e gli psicoterapeuti devono tener conto dell’influsso dell’ambiente sia per la diagnosi che per la cura dei loro pazienti.
Rispetto al rapporto tra psicologia-psicoterapia e architettura-ingegneria, è possibile riscontrare sorprendenti analogie. In particolare, l’architettura può essere vista come una delle possibili espressioni di un linguaggio universale, in cui l’uomo, da sempre, ricerca e costruisce forme e spazi esterni, ambientali che esprimano e riproducano forme e spazi interni, psichici. Oliver Marc, architetto francese che da tempo si occupa anche di psicoanalisi, sostiene che “l’architettura era forse la prima delle espressioni artistiche dell’uomo e la casa era la più perfetta espressione del sé”, e che “costruire la propria casa significa creare un luogo di pace, di calma e di sicurezza,(…) dove ci si può ritirare dal mondo e sentire battere il proprio cuore; significa creare un luogo dove non si rischia l’aggressione, un luogo di cui si sia l’anima. Oltrepassata la porta, assicuratisi che sia ben chiusa, è dentro di sé che si entra”.(2) L’abitare non è dunque una semplice funzione fisiologica da soddisfare, ma richiama le sfere più profonde del nostro essere-nel-mondo, non solo come corpo che ho (Korper, o corpo fisico) ma come corpo che sono (Leib, o energia)(3).
E’ importante, inoltre, recuperare la cultura del territorio, la storia e il senso del luogo che affiora sempre più prepotentemente dal bisogno di identità e di appartenenza. Ogni scelta progettuale, pur se limitata da vincoli urbanistici ed economici, dovrebbe tenere ben presenti questi principi. Un approccio al progetto di questo tipo non deve essere vissuto come una limitazione alla libertà creativa dell’architetto, bensì deve essere visto come uno strumento di consapevolezza, indispensabile per poter esprimere una autentica creatività al servizio dell’essere umano. Solo in questo modo ogni uomo può veramente ritrovarsi in queste parole: “La mia casa interiore si rivela ogni giorno più grande e ho veramente la sensazione che non potrò mai fare l’inventario di tutte le stanze perché è infinita e contiene tutte le case, chiese o palazzi dell’universo intero, le presenti e anche quelle che devono ancora venire: (…) Se le tante porte che avevo visto viaggiando mi avevano dato gioia era perché mi conducevano a luoghi che dovevano esistere da qualche parte dentro di me!” (4)
(1) C. Day, La casa come luogo dell’anima, Red ed., Como, 1990, pag. 188.
(2) O. Marc, Psicoanalisi della casa, Red ed., Como, 1994, pag.23
(3) E. Giusti, A. Iannazzo, Fenomenologia e integrazione pluralistica, EUR ed., Roma, 1998, pag.53.
(4) O. Marc, op. cit., pag.30

LA CASA COME IMMAGINE DEL SE'

(Simboli archetipici e luoghi domestici).

(tratto da C. Longo, P. Santillo, Architettura e Psicologia:alla ricerca dei luoghi dell’anima, in A.S.P., anno VIII, n.10, aprile 2001)

Carl Gustav Jung, quando volle descrivere la complessità dell’anima umana, utilizzò questa metafora: “è necessario entrare in un edificio e scoprire le sue varie fasi di costruzione. Il piano più alto potrebbe essere stato costruito nel XIX secolo, il piano terra risalire al XVI secolo. Un esame più accurato potrebbe indicare che l’edificio è stato costruito su una torre dell’XI secolo, nella cantina si potrebbero scoprire fondazioni romane, sotto lo strato superiore si potrebbero rinvenire oggetti di silice, mentre in quello più profondo i resti di una fauna glaciale”(1). Questa immagine, derivata da una illuminante esperienza onirica, per Jung dimostrava l’esistenza di un inconscio collettivo quale bagaglio archetipico dell’umanità. E’ forse per questo che tipologie costruttive così diverse e lontane dalla nostra cultura, dall’igloo degli eschimesi alla capanna della tribù africana, ci sembrano tuttavia così vicine alla nostra idea di casa. Quand’è, allora, che una casa “soddisfa” la nostra aspettativa? Probabilmente quando riesce a corrispondere all’idea inconscia, archetipica, di casa. Non è sufficiente che sia funzionale, spaziosa, comoda; deve soprattutto corrispondere ad un “modello interiore”, deve essere “calda”, deve “proteggere”, “nutrire”, “appagare”. Peraltro, i bisogni di ognuno di noi, e fra questi quello di abitare, avere un “tetto” sotto il quale vivere e “sentirsi bene”, non sono statici, ma si sviluppano contemporaneamente allo svilupparsi della personalità. Anche i disegni dei bambini ci danno la conferma dell’esistenza di un’idea interiore di casa. Il bambino, come l’uomo primitivo, non ha un modello esteriore cui ispirarsi, e se tenta di riprodurre ciò che vede, lo fa solo perché in questo modo può dare forma ad un’immagine che già esiste dentro di sé. In realtà il bambino nel disegnare la sua casa disegna se stesso, la sua anima, colorata di emozioni, paure, sogni. In questo processo il bambino utilizza alcuni simboli archetipici primordiali: il quadrato (la terra, è il corpo della casa: simboleggia anche l’uomo), il triangolo (il fuoco, il tetto: esprime una dinamica orientata verso il cielo), il cerchio (inizialmente posto sulla sommità del tetto, ben presto si stacca a disegnare il sole, il cielo: rappresenta il Tutto, l’Unità cosmica verso cui l’uomo si sente proiettato). Insieme a questi segni che danno forma alla casa, sono importanti altri simboli quali la mezzaluna (che simboleggia l’aria), la croce (la condizione umana, le due direzioni rispetto alle quali si organizza la casa a immagine dell’uomo), la spirale (tutti i primi scarabocchi dei bambini sono delle spirali, forma diffusissima in natura), le onde (tutto l’universo vibra con ritmi ondulatori) ed il punto (semplicemente una successione di punti può riprodurre un ritmo, e grazie al ritmo i suoni, come le forme grafiche, sono in grado di dare vita ed espressività).
In seguito compaiono altri elementi archetipici: il comignolo fumante (e quindi il focolare domestico, ma anche il sacro fuoco primordiale), gli alberi (l’identità, l’Io), gli animali (gli istinti arcaici, l’irrazionalità). L’architetto deve essere consapevole di tali significati e deve progettare anche in funzione di essi: il tetto rappresenta lo spirito, il legame con il cielo; i piani più bassi corrispondono alle funzioni più arcaiche e intuitive; la cucina è il luogo della trasformazione psichica; il focolare simboleggia il fuoco che sentiamo ardere dentro di noi; anche il giardino (con l’acqua e quindi una fontana, gli alberi, i fiori) fa parte della nostra casa interiore, che non può prescindere da esso.
La casa è dunque l’immagine del sé, e infatti la psicanalisi riconosce nei sogni sulla casa molteplici e profondi significati. Essa riproduce la più completa e antica manifestazione dell’anima, e in quanto tale dovrebbe soddisfare una necessità di espressione e anche proteggere la fragilità dell’essere nel suo sviluppo. La casa può rappresentare il caldo ventre materno o l’arido mare secco(2) di una maternità fisiologica che nessun calore riesce a dare al suo piccolo frutto. L’atmosfera, l’essenza di un’abitazione, non possono divenire percettibili se non su un piano spirituale ed intuitivo. “L’anima di un luogo è l’intangibile sensazione che questo comunica (…) Ogni luogo dovrebbe avere uno spirito…”(3). Questo “spirito” ci ricollega all’unità con il Tutto: “…le cose hanno la vita di coloro che le hanno fatte nascere, ma l’anima delle cose attinge a un patrimonio comune che risale alle origini dell’universo, dell’umanità e delle nostre rispettive civiltà(4).
Servendosi di pochi simboli archetipici, l’architettura può trovare la forma che rivela l’uomo a se stesso, può parlare all’anima di chi la guarda e soprattutto di chi la “vive”. Solo se riesce a fare questo possono cadere le barriere fra conscio ed inconscio, tra il dentro e il fuori, tra ciò che è razionale, convergente, logico e ciò che è irrazionale, divergente, illogico. Nel dialogo tra queste polarità, l’architettura diventa creazione e non semplice costruzione. Ogni architetto dovrebbe conoscere il linguaggio universale della casa.
(1) O. Marc, Psicoanalisi della casa, Red ed., Como, 1994, pag.19.
(2) A. G. Caputi, Il mare secco, in A.S.P., Rivista di Psicoterapia ad orientamento analitico, n.8, aprile 1999, pag.4.
(3) Day, La casa come luogo dell’anima, Red ed., Como, 1990, pag.158.
(4) O.Marc, op.cit., pag.16.

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Questo è il mio blog più personale. Sono un ingegnere, laureato nel 1990 presso l'università degli studi di Napoli, orgoglioso dipendente della P.A., felice di poter svolgere un servizio di pubblico interesse, ed impegnato anche nella diffusione delle tematiche che più mi appassionano: difesa dei BENI COMUNI, sostenibilità, bioarchitettura, protezione civile, partecipazione democratica ed etica sociale e professionale.