venerdì 30 gennaio 2009

Intervento al convegno: LA SICUREZZA SUL LAVORO

(UN DIRITTO DI TUTTI PER UN DOVERE COMUNE)
(Napoli – 27 settembre 2008)

Sono un tecnico che lavora nella pubblica amministrazione e, per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro, le mie competenze sono legate soprattutto all’analisi e prevenzione dei rischi delle nostre strutture adibite a sedi strumentali (uffici), e ai cantieri, generalmente per lavori di manutenzione.
Ma la mia prima esperienza con la questione sicurezza risale a quasi 35 anni fa, quando avevo più o meno otto anni e, sfuggito al controllo dei miei genitori, insieme a mio cugino andai a giocare nel cantiere della sua casa in costruzione. Non avemmo nessuna difficoltà ad accedervi, e nessuno si accorse di noi.
Già allora esisteva, e da oltre 20 anni, in Italia, una normativa molto avanzata (DPR 547/1955), ma che era largamente disattesa, soprattutto per la mancanza di controlli; così, mentre giocavo sono caduto da un balcone del primo piano, privo di ogni protezione, cadendo, per fortuna, proprio su un cumulo di soffice pozzolana che ha ridotto l’altezza della caduta ed ha attutito il colpo. Insomma, ne sono uscito del tutto illeso, e tuttavia da allora, per lo spavento, ho sempre avuto una certa sensibilità per i rischi dei cantieri.
E’, questo, quello che potremmo chiamare “effetto educativo” della paura: come la paura di fare incidenti e/o di prendere multe che ci fa guidare con prudenza.
I cantieri hanno continuato comunque ad affascinarmi, come tutte le manifestazioni della capacità creativa dell’uomo, ma, da allora, mi ci sono mosso sempre con prudenza, cercando di fare attenzione a dove metto i piedi, sia quando da ragazzo ci andavo saltuariamente a lavorare, sia dopo, nello svolgimento della mia professione, che mi impone, fra l’altro, anche di vigilare sul rispetto delle norme di sicurezza e sui comportamenti degli addetti ai lavori.
Anche oggi, come all’epoca della mia caduta, nonostante un quadro normativo ancora più moderno e teoricamente efficace (dal D.Lgs. 494/96 al T.U. introdotto dal D.Lgs. 81/2008), i livelli di sicurezza sono insufficienti, soprattutto nei piccoli cantieri, non soggetti a notifica preliminare, e nelle piccole fabbriche o officine artigianali, dove i controlli sono meno frequenti, e spesso, si interviene solo ad infortunio ormai avvenuto.
In passato, infatti, ho lavorato anche per un’azienda che produce prefabbricati in cemento e quindi ho fatto l’esperienza del lavoro in fabbrica, rendendomi conto che, se possibile, può essere ancora più pericolosa del cantiere, probabilmente pure a causa della “monotonia” del lavoro, che porta i gesti e i comportamenti a diventare automatici, troppo ripetitivi, in un ambiente che è sempre uguale, e dove le procedure e la produttività sono più facilmente codificabili e controllabili, mentre contemporaneamente si tende a ridurre il livello di attenzione, per la stanchezza, e a velocizzare troppo i gesti, perché per andare via bisogna completare un lavoro.
A conferma del fatto che i controlli sono importanti, posso testimoniare che quando mi sono occupato della direzione dei lavori di bonifica dall’amianto dell’edificio ex SIP di via Arenaccia a Napoli, la presenza costante degli ispettori della ASL, sia in fase preliminare che esecutiva, anche con un approccio più “da consulenza” che di vero e proprio controllo, e che quindi fu percepito in modo non coercitivo, o semplicemente sanzionatorio, dall’impresa e dagli operai, la sicurezza di tutti fu assolutamente garantita, e non si verificò nessun infortunio, né rilascio di fibre di amianto oltre i limiti consentiti.
Naturalmente, anche in quel caso, non fu possibile ottenere l’annullamento di ogni pericolo, ma, come sempre dovrebbe avvenire, si perseguì come prioritario l’obiettivo di ridurre i rischi al di sotto dei limiti codificati come accettabili.
I tempi di lavoro, in vero, furono più lunghi di quelli contrattualmente stabiliti, ma da parte del committente, che io rappresentavo, non fu mai esercitata alcuna pressione, né sull’impresa, né sull’organo di controllo, per aumentare i ritmi di lavoro.
L’integrità e la sicurezza di un uomo, e la dignità dei lavoratori, dovrebbero essere sempre più importanti di un qualsiasi aumento di produttività o di qualsiasi obbligo contrattuale.
Anche questo è, in definitiva, un problema di legalità, che incide direttamente, fra l’altro, sui livelli di sicurezza dei lavoratori che, in un contesto dove diritti negati e sfruttamento sono la regola, ne viene inevitabilmente pregiudicata.
Per sfruttamento, in questo discorso, intenderei comprendere, assieme allo sfruttamento dei lavoratori, anche lo sfruttamento delle risorse naturali, sempre per finalità di massimizzazione dei profitti.
Qual è il rimedio a tutto ciò?
Una citazione di Serge Latouche mi sembra utile, a questo punto, per introdurre una riflessione sull’attuale sistema economico, e sulle ricadute che esso ha sulle condizioni di lavoro e sulla stessa sicurezza dei lavoratori, e non solo dei lavoratori.
… bisogna concepire e volere una società nella quale i valori economici cessino d’essere centrali (o unici), dove l’economia è rimessa al suo posto come semplice mezzo della vita umana e non come fine ultimo. …. Ciò è necessario non solo per evitare la distruzione definitiva dell’ambiente terrestre, ma anche soprattutto per uscire dalla miseria psichica e morale dell’umanità contemporanea.[1]
I valori economici, infatti, stanno sempre più monopolizzando la nostra società: tutto è giustificato in nome del profitto e dello sviluppo. Sicurezza, ma anche onestà, etica, deontologia, correttezza professionale, autonomia di pensiero, …, l’interesse economico sta subordinando ogni altro valore.
In nome dello sviluppo economico e della crescita del PIL, imprenditori, tecnici ed amministratori con pochi scrupoli, mettono in atti o tollerano sistemi produttivi che sfruttano il lavoro e le risorse naturali, senza regole e remore, introducendo nei processi sostanze chimiche tossiche e cancerogene, che avvelenano sia i lavoratori che i destinatari finali del prodotto.
E tutti ciò con un sistema di norme inadeguate ma largamente disattese, e con scarsissimi controlli.
E, in questa situazione, aggravata sempre più dal decadimento morale, della nostra società, alimentato dal degrado dell’ambiente che ci circonda, non possono che aumentare purtroppo anche gli infortuni sul lavoro, e ci si indigna sempre meno e ci si abitua, pian piano, a pensarlo come un inevitabile “effetto collaterale” del benessere che pensiamo di dover sempre più migliorare; e non pensiamo che domani potrebbe toccare a noi, o a un nostro figlio o a un fratello, o un amico.
Così, di lavoro si continua a morire, come si muore per lo svilimento delle strutture sanitarie pubbliche a favore di quelle private, che per massimizzare i profitti e ridurre i costi, spesso sono anche peggiori di quelle pubbliche, mentre l’evasione fiscale e contributiva continuano a sottrarre risorse alla collettività.
Inoltre si soffre per la precarizzazione del lavoro: anche questa è insicurezza, e per di più, si verificano sempre più spesso situazioni in cui lavoratori inesperti e non sufficientemente preparati vengono utilizzati per attività anche molto pericolose.
Intanto i mezzi di informazione, televisione in testa, continuano a diffondere un misto micidiale di notizie angoscianti e spot pubblicitari, costruendo da un lato paura, insicurezza, incertezza e diffidenza, che servono a giustificare politiche sempre più repressive e invadenti, e dall’altro bisogni, e domanda di merci, per sostenere la crescita economica e far aumentare i profitti delle multinazionali.
Oggi però c’è la chiara sensazione che il mito del mercato che si auto regola e della crescita economica stiano crollando insieme alle aziende, soprattutto finanziarie, che stanno fallendo; e infatti l’Italia è ferma, dal punto di vista economico; anzi, ormai siamo alla soglia della recessione.
Se vogliamo salvare il Paese dalla bancarotta, e il mondo dalla catastrofe (l’attuale ritmo di sviluppo e di logoramento delle risorse, e l’accelerazione della produzione e dei consumi di beni non necessari, stanno pregiudicando il futuro del pianeta), è necessaria una vera rivoluzione culturale.
Scuotendoci dalla rassegnazione passiva e liberandoci da egoistici opportunismi, dobbiamo reagire, abbandonando il mito della crescita senza limiti, e rifiutando per sempre l’idea che l’arricchimento personale possa essere un fine che giustifichi ogni mezzo.
Dobbiamo togliere centralità all’economia e al mercato, e restituirla all’uomo: solo così potremo perseguire con successo una più equa distribuzione delle risorse, e inoltre avremo anche cantieri e fabbriche più sicure e meno infortuni e morti.
Investimenti appropriati in ricerca, tecnologia e formazione, legati anche alla correttezza delle imprese, devono sostituire i finanziamenti a pioggia, ed è fondamentale un miglioramento dell'efficienza e dell'efficacia dell'azione amministrativa delle istituzioni pubbliche, indispensabile presupposto anche per un incremento della produttività, che non può e non deve essere ottenuto solo con l’esasperazione dell’impegno dei lavoratori, perché ciò porta poi a stress e stanchezza, precarizzazione e riduzione dei livelli di attenzione, favorendo gli infortuni sul lavoro.
Ho letto di recente della pericolosa diffusione delle droghe sui luoghi di lavoro, spesso utilizzate, e tollerate, per sopportare meglio i terribili ritmi di lavoro oggi richiesti in alcune fabbriche o nei cantieri.
Imprenditori ed artigiani devono acquisire maggiore consapevolezza sulle conseguenze ambientali, economiche e sociali della propria attività, cercando di migliorare continuamente le proprie conoscenze tecnico-specialistiche (formazione professionale), ma anche il proprio livello culturale, e la capacità di confronto e sinergia con altre professionalità, e con la coscienza di svolgere un ruolo di interesse collettivo, e non solo un’attività finalizzata al profitto.
Lo sviluppo economico non deve prescindere dal rispetto per l’ambiente e dell’integrità, fisica e morale, della persona umana, la cui difesa deve condizionare ogni decisione legislativa e amministrativa, ma anche le scelte di tipo imprenditoriale.
Un importante contributo a migliorare le condizioni di lavoro nei cantieri e nelle fabbriche può essere portato anche dalla bioedilizia e, in generale, dal movimento ecologista, che potrà imporre al mercato prodotti meno tossici, nelle varie fasi di produzione, esecuzione, vita utile e smaltimento finale, in edilizia, nell’industria dell’arredamento, per i prodotti per la casa, ecc..
Anche nel campo della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti un consapevole movimento e diffuso ecologista potrà portare benefici in termini di riduzione, riuso, riutilizzo, recupero, …, con minori rischi per la sicurezza, anche, degli addetti ai lavori.
In conclusione, dopo aver ascoltato prima gli straordinari versi di “Fravecature” di Viviani, vorrei citare anch’io un’unica strofa di una altrettanto straordinaria canzone scritta in onore dei morti dello scoppio nella “Flaubert’s” di Sant’Anastasia, quasi 33 anni fa:
“E chi và 'a faticà
pur' 'a morte addà affruntà
murimm' 'a uno 'a uno
p'e colpa 'e 'sti padrune”.
(E'Zezi, "A' Flaubert", 1975)

[1] Serge Latouche (Professore emerito di Scienze Economiche all’Università di Parigi) – ALTRI MONDI, ALTRE MENTI, ALTRIMENTI – Ed. Rubettino – 2004 – pag. 126.

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Questo è il mio blog più personale. Sono un ingegnere, laureato nel 1990 presso l'università degli studi di Napoli, orgoglioso dipendente della P.A., felice di poter svolgere un servizio di pubblico interesse, ed impegnato anche nella diffusione delle tematiche che più mi appassionano: difesa dei BENI COMUNI, sostenibilità, bioarchitettura, protezione civile, partecipazione democratica ed etica sociale e professionale.