domenica 30 agosto 2009

PER UNA PIANIFICAZIONE TERRITORIALE SOSTENIBILE

Di recente la Regione Campania ha approvato il Piano Territoriale Regionale (PTR).
Nei prossimi mesi la provincia di Benevento dovrà realizzare il suo Piano di Coordinamento Provinciale, e molti comuni della Valle Telesina dovranno aggiornare i loro piani urbanistici, approvando il nuovo PUC (piano urbanistico comunale).
Nei relativi iter progettuali ed autorizzativi, non potrà non essere individuato come obiettivo principale quello di assicurare una adeguata protezione dell'ambiente e del paesaggio dalla "aggressione" degli interventi antropici, così come prescritto dallo stesso PTR, che prescrive di tutelare, valorizzare e riqualificare il territorio con il minor consumo di suolo e senza prescindere dalla difesa del territorio agricolo.
Fondamentale sarà il metodo applicato e la capacità di attivare una reale partecipazione da parte dei cittadini.
Il PTR introduce, anche in Campania, i concetti di auto-riconoscimento delle identità locali e di auto-organizzazione nello sviluppo.
Questo significa, soprattutto, che le comunità locali devono essere protagoniste dall'inizio alla fine dei processi di programmazione e pianificazione territoriale.
Ma come può essere resa efficace la partecipazione dei cittadini, ottenendo un risultato tecnicamente valido, e che possa conciliare l'interesse allo sviluppo socio-economico del territorio di riferimento con quello, altrettando legittimo, e non necessariamente alternativo, della tutela del paesaggio, della protezione dlel'ambiente, e della conservazione delle risorse?
E' necessario mettere a punto un metodo e stabilire degli indicatori.
Ho trovato molto interessante, a tal proposito, la lettura di un libro scritto da Giuseppe Messina, agronomo ed esperto di pianificazione ambientale, impegnato da anni nella difesa del territorio e del paesaggio agrario campano: "Indicatori per una pianificazione territoriale ecosostenibile - il caso Campania", edito dalla casa editrice "La Scuola di Pitagora".
Secondo Messina, una pianificazione sostenibile non può prescindere da un processo partecipato e da una scelta condivisa degli "indicatori", ovvero i parametri sui quali basare misurazioni, fissare obiettivi, ed effettuare verifiche e scelte.
Riporto nel seguito una breve sintesi del testo.
Messina, partendo da un indicatore "aggregato", l'impronta ecologica, propone tre indicatori: sostenibilità, desertificazione ed energia.
L'impronta ecologica si definisce come l'area totale di ecosistemi terrestri ed acquatici necessari per produrre le risorse che una data popolazione umana consuma, e per assimilare i rifiuti che la stessa popolazione produce.
Ebbene, in Campania, a fronte di 0,24 ettari pro-capite disponibili (con una capacità biologica pari a 0,82), l'impronta ecologica è pari a 3,56 ettari pro-capite. Dunque, le risorse naturali della Campania non riescono a rigenerarsi con lo stesso ritmo con le quali vengono consumate, e per sostenere i ritmi e gli stili di vita dei quasi 6 milioni di abitanti, occorrerebbero oltre 20 milioni di ettari di superficie, mentre quelli realmente disponibili sono solo 1.359.354, con una SAU (superficie agraria utilizzata) che va progressivamente riducendosi a causa soprattutto dell'urbanizzazione che, solo negli ultimi 15 anni, ha sottratto all'agricoltura oltre 7000 ettari di terreno.
Le linee guida dell'Unione Europea per un uso sostenibile dei suoli sono basate su un attento dimensionamento dei piani, sul rafforzamento delle reti di trasporto sostenibile, sul controllo della dispersione insediativa, sull'utilizzo delle aree degradate e sottolutilizzate già urbanizzate.
Prescrivono inoltre l'utilizzo di parametri (indicatori) che, a monte delle scelte, indichino ai decisori politici la strada migliore per garantire un futuro sostenibile.
Un uso conservativo delle risorse può garantire anche competitività territoriale in termini di beni e servizi fruibili e godili. Invece un territorio devastato in nome della produzione è di per sè non competivivo, perchè inadeguato per gli stessi abitanti.
Avendo perseguito in molte aree della Campania un modello di sviluppo basato sul massimo profitto monetario, sulla rendita di posizione e sullo sfruttamento indiscriminato delle risorse, si sono determinate condizioni di scarsa competitività territoriale.
Creare condizioni di competitività, significa invece garantire un ambiente "sano" nei suoi valori materiali e immateriali: la qualità delle relazioni sociali fra gli individui, l'assenza di conflittualità, la capacità di essere percepiti quale comunità, l'integrità e la qualità delle risorse sono i fattori di una moderna competitività territoriale.
Secondo Messina è necessario investire in formazione, per accrescere e migliorare il livello delle competenze, abbandonare le pratiche intensive necessitate da esigenze economiche, intensificare la "multifunzionalità" in agricoltura, valorizzandone le funzioni secondarie per intercettare la domanda di ruralità che si sta sempre piàù diffondendo, e diversificare il reddito aziendale (ospitalità, auto-produzione di energia, agricoltura sociale, fattorie didattiche).
Gli effetti del riscaldamento globale, nei prossimi anni, potrebbero essere devastanti.
Il 2% del territorio italiano è minacciato da processi di inaridimento dei suoli (desertificazione). E in Campania la situazione, come in quasi tutto il meridione, è veramente drammatica, soprattutto a causa del continuo abbandono del territorio agricolo e dell'urbanizzazione (la superficie urbanizzata dal 1960 al 2000 è quadruplicata, a fronte di un incremento demografico del 20% soltanto).
Per evitare la catastrofe bisogna introdurre cambiamenti sia a livello internazionale che a livello locale.
In Campania, negli ultimi 50 anni, dall'espansione urbanistica alla gestione dei rifiuti, si è verificata una vera e propria "mattanza ambientale", dovuta alla sistematica mancanza di un'adeguata pianificazione territoriale, e al rifiuto del dialogo con le popolazioni interessate, che hanno perso ogni fiducia nelle istituzioni.
Ora, le istituzioni, per recuperare questa fiducia, devono adottare un modello di approccio completamente diverso, modificando la comunicazione da mero strumento di illustrazione delle scelte e dell'attività dell'ente, a processo di scambio e di interazione, attraverso cui costruire l'identità del territorio: socializzazione delle informazioni, attivazione di reti e sinergie, definizione condivisa delle scelte, mobilitazione di energie e competenze.
A fronte dei metodi tradizionali di definizione delle scelte (contrattazione e scambio politico, pianificazione, aggregazione degli interessi), anche Messina propone il metodo dialogico: attenzione al bene comune e apertura alla partecipazione dei cittadini.
Una delle pratiche che a livello locale può opporsi alla desertificazione è una buona raccolta differenziata, che recuperi completamente la frazione organica dei rifiuti e la invii completamente al compostaggio e all'impiego in agricoltura e anche nella gestione del verde urbano, sostituendola ai concimi chimici.
Il ruolo della sostanza organica nel terreno è un fattore di rilievo nella strategia di lotta al cambiamento climatico e alla desertificazione. Messina propone alle amministrazioni locali un MANIFESTO PER IL RECUPERO DELLA FRAZIONE ORGANICA DAI RIFIUTI e la produzione di ammendanti organici tramite compostaggio, con positivi effetti in termini di costi, nella gestione dei rifiuti, ma anche con effetti sulla lavorabilità dei suoli, miglioramento della ritenzione idrica, diminuzione dei fenomeni di erosione, e, infine, in termini di qualità e quantità delle produzioni agricole.
Ancora, bisogna ridurre il consumo di combustibili fossili, promuovendo il risparmio energetico e l'uso delle fonti rinnovabili, da finanziare con una elevata tassazione dei "consumi inquinanti".
Anche Messina evidenzia come sia sbagliata la decisione di realizzare altri impianti che producano energia da fonti convenzionali (per esempio la centrale a turbogas prevista a Benevento) e, ancor più, gli inceneritori, che hanno emissioni non tollerabili e che distruggono preziosi materiali riciclabili, con un "bilancio energetico" del tutto fallimentare.
Peraltro, la frazione organica dei rifiuti prodotta in Campania, anche se fosse interamente trasformata in compost, sarebbe insufficiente a soddisfare le esigenze del territorio agricolo regionale, per cui è necessario utilizzare anche tutte le biomasse disponibili. Il ché esclude anche l'utilizzo delle stesse per la produzione di energia.
Il libro di Messina è molto interessante, e dovrebbe essere essere letto da tutti gli amministratori e i tecnici degli enti locali campani.

domenica 9 agosto 2009

Canada: contrordine, le centrali nucleari costano troppo !

(Da Eco-new 7/8 /09)
Lo avevamo detto: Sarkozy ha ormai già rifilato la patacca di 4 Centrali Nucleari al collega Berlusconi ( finora accreditato come il più abile venditore del secolo). Mentre tutto il mondo ha scelto la strada delle Energie Rinnovabili.
Il Canada, a differenza dell’Italia, aveva formato il proprio Piano Energetico Ventennale, il quale, valutati costi e benefici, era così strutturato:
1. 6.300 MW di Risparmio Energetico;
2. 5.700 MW di produzione da Fonti Rinnovabili (Solare, Biomassa, Eolico ed Idroelettrico);
3. 14.000 MW di produzione da Centrali Nucleari.
Tuttavia, bandita la gara per costruire le centrali nucleari, prorogata la stessa di alcuni mesi perché le offerte non arrivavano, finalmente sono arrivate delle proposte, ma molto ....... molto più costose di quanto previste.
In particolare la francese AREVA-NP ha offerto fiammanti centrali EPR da 1600 MW (European Pressurized Reactor, di terza generazione) con costi addirittura tre volte il costo di precedenti contratti (4.587 euro/kW, contro 1.600 euro/kW).
Alla fine il Governo Canadese ha dovuto sospendere il tutto per scongiurare un macroscopico danno economico: evidentemente il Piano Nazionale Energetico canadese, proprio al punto 3, é sbagliato ....... !!!
Per la cronaca, quattro centrali nucleari sul Territorio Italiano, esattamente del tipo EPR, sono alla base dell’ accordo tra ENEL e la francese EDF , firmato da Sarkozy e dal nostro imprudentissimo Berlusconi.
E non é finita: calpestato il referendum del 1987 (aboliva il nucleare), il Governo Berlusconi si apprestava ad imporre a quattro malcapitate Regioni, manu militari, i siti per la costruzione delle Centrali Nucleari di Sarkoszy.
Conclusione: le pericolosissime Centrali Nucleari sono anche antieconomiche ....... come la mettiamo ora ?

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Questo è il mio blog più personale. Sono un ingegnere, laureato nel 1990 presso l'università degli studi di Napoli, orgoglioso dipendente della P.A., felice di poter svolgere un servizio di pubblico interesse, ed impegnato anche nella diffusione delle tematiche che più mi appassionano: difesa dei BENI COMUNI, sostenibilità, bioarchitettura, protezione civile, partecipazione democratica ed etica sociale e professionale.