"Il volto umano del diritto:
riflessioni sulla modernità"
Il corso "Diritto e letteratura",
tenuto dal prof. Felice Casucci, quest'anno è stato dedicato ad un
approfondimento su "Il volto umano del diritto" da diversi punti di
vista. In particolare, nell'ultimo incontro, abbiamo ascoltato il contributo
della prof.ssa Fabiana Cacciapuoti, dal titolo: "Il volto umano del
diritto: riflessioni sulla modernità".
La prima
questione che questo percorso pone è inevitabilmente quella di definire il
significato di "volto umano del diritto" , e la prof.ssa, per
rispondervi, ha fornito uno spunto molto interessante. Nel volume dedicato ad
Aldo Moro, di F. Vittoria, si intende la politica come non coincidente col
potere, in quanto essa deve essere piuttosto una rappresentanza del bisogno:
chi governa, chi fa le leggi, deve ascoltare dolori e necessità di coloro che
cercano risposte. L'importante sarebbe considerare quelle persone come singoli,
come individui, e non come parte della massa.
A questo
era già arrivato Leopardi, quasi duecento anni fa, quando nel suo Zibaldone
scriveva "Rido della felicità delle masse, perché il mio piccolo cervello
non concepisce una massa felice, composta d’individui non felici”. Paradossale,
allora, che oggi nel nostro Paese ci si riferisca ancora al PIL come indicatore
del benessere; un benessere che, molto evidentemente, non ci appartiene. È
anche vero, però, che gli individui tendono essi stessi a uniformarsi e vivere
in massa come ricerca di sicurezza; lo fanno chiudendosi contemporaneamente in
un individualismo e in un egoismo totali. Sono due facce della stessa medaglia:
la crisi della società. Leopardi pensava che ciò fosse dovuto ad un
allontanamento dell'uomo dal sistema armonioso della natura, che è in
equilibrio col logos. Quando la ragione prende il sopravvento e cerca di
dominare ogni cosa, la società si proietta verso il progresso sfrenato e i
rapporti tra le persone si sciolgono. In un mondo tecnologico, virtuale,
consumistico fino ai limiti del possibile, forse le masse sono ottimiste,
felici anche, ma la felicità dei singoli e la solidarietà con gli altri passano
in secondo piano. L'uomo non è più umano, ma diventa un ingranaggio di qualcosa
che non vede, accettando passivamente di farne parte; le emozioni non hanno più
senso, non hanno più luce e si reprimono, perché in questa nuova realtà il
motto è "Controllo". Ma il controllo porta al non sentire più, e ad
una triste indifferenza verso tutto e tutti, perché difendendosi dal pathos,
con l'esasperazione del logos, si diventa immobili, come diceva anche
Schopenhauer; è ciò che Leopardi chiamava "strage delle illusioni",
il reprimere "gli slanci dell'animo proprio". Nella società di oggi
soprattutto i giovani non trovano spazi e momenti comunitari per far bruciare
proficuamente quel fuoco che arde dentro ognuno di noi e ciò può sfociare in
atteggiamenti distruttivi per sé e gli altri, in un'esplosione o in
un'implosione, cioè nella depressione. Per il poeta recanatese questo derivava
anche da un incivilimento esasperato, quella spiritualizzazione che oggi è
virtualizzazione, che uccide le passioni e rende difficile la coesione tra gli
uomini. Essi diventano come colonne d'aria in uno spazio stretto, una società
stretta, sempre in lotta per prendere l'uno il posto dell'altro e accrescere il
proprio potere.
Il filosofo
polacco Bauman definisce la società come liquida, caratterizzata da
decostruzione, deregolamentazione, disordine; consumiamo per consumare, al
primo difetto gettiamo via e ricompriamo e facciamo lo stesso con le persone,
con il lavoro, con la natura. Società e individui sono immersi nella
precarietà, nell'instabilità, nell'egoismo; assistiamo alla liquefazione delle
grandi ideologie, degli obblighi etici, dei sani rapporti umani. Infatti nel
suo libro Amore liquido Bauman trasla
la crisi della società nella crisi delle relazioni che si fanno occasionali,
utilitaristiche; la solidarietà diventa privilegio di pochi e gli "scarti
umani", chiunque sia stato privato dei suoi modi e mezzi di sopravvivenza,
si ritrovano soli. Nell'antica Roma si parlava di homo sacer, quello fuori dalla giurisdizione, oggi si parla di
immigrati, disoccupati, reietti della società. Lo Stato, non potendo risolvere
i loro problemi, li allinea alla paura,
al timore, stimolando pregiudizi ed egoismo. Lévinas offre una soluzione
allontanandosi da una filosofia ontologica che si concentra sull'io, sull'ego, e concentrandosi altresì sull'etica,
che si articola in vari aspetti: il mettersi in relazione con gli altri, il
rispettare la diversità accettandola e facendone tesoro, l'ospitalità e
l'accoglienza prive di pregiudizi. Per lui la risposta è nel volto dell'altro,
dove possiamo vedere e ascoltare la parola dell'infinito. D'altronde Leopardi
era già arrivato a questa conclusione sia nel Dialogo di Plotino e Porfirio che nella Ginestra, ponendo come ultima speranza la "social
catena", la comune consapevolezza e quindi la comune lotta.
Ci
stupiremmo di come un atto di solidarietà e generosità gratuita sia già una
battaglia vinta.
Isabella SANTILLO (17 anni)
LA NOSTRA SPERANZA SONO I NOSTRI GIOVANI (E LA SCUOLA E GLI INSEGNANTI CHE LI PREPARANO.
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