LA SICUREZZA SUL LAVORO
(DIRITTO DI TUTTI E DOVERE COMUNE)
(articolo pubblicato sul numero di dicembre 2009 della rivista "asclepiadi").
“E chi và 'a faticà, pur' 'a morte addà affruntà, murimm' 'a uno 'a uno p'e colpa 'e 'sti padrune” (E'Zezi, "A' Flaubert", 1975).
UNA GUERRA NASCOSTA
Ogni giorno in Italia si verificano 2500 incidenti sul lavoro, 3 lavoratori perdono la vita e 27 restano invalidi per sempre (circa un milione di incidenti ogni anno, con oltre 1000 morti).
E dietro ogni cifra ci sono la storia e la vita di uomini e donne, e delle loro famiglie.
Per molti lavoratori, morire o restare segnati per sempre è una eventualità che può verificarsi in qualunque momento. Come in guerra!
Ci sono poi le malattie professionali, provocate dal contatto quotidiano con sostanze tossiche, che uccidono lentamente.
Certi lavori somigliano più ad una trincea che a un diritto garantito dalla Costituzione.
Nei cantieri edili, in particolare, si verifica quasi il 23% degli incidenti, anche se questo settore occupa solo l’8,4% della popolazione attiva; e 1/6 di questi incidenti colpisce lavoratori immigrati, cui di solito vengono affidate mansioni più rischiose, con turni prolungati e scarsa formazione in materia di sicurezza.
Anche la precarizzazione del lavoro incide negativamente sulla sicurezza: si verificano sempre più spesso situazioni in cui lavoratori inesperti e non sufficientemente preparati vengono utilizzati per attività anche molto pericolose, con la conseguenza che i lavoratori “temporanei” sono 2-3 volte più a rischio di quelli stabili.
Il 5 agosto 2009, sulla G.U. n. 180 (supplemento ordinario n.142), è stato pubblicato, ed è quindi entrato in vigore, il decreto legislativo n. 106 del 3 agosto 2009: disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (Testo Unico della sicurezza nei luoghi di lavoro).
Il Testo Unico rappresentava l’attuazione dell’articolo 1 del D.Lgs. 123/2007 (il Governo e' delegato ad adottare, …, uno o più decreti legislativi per il riassetto e la riforma delle disposizioni vigenti in materia di salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, in conformità all'articolo 117 della Costituzione … garantendo l'uniformità della tutela dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche con riguardo alle differenze di genere e alla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati …).
Si trattava di uno dei primi provvedimenti dell’ultimo Governo Prodi, e uno dei primi firmato dal Presidente Napolitano, che lo aveva molto sollecitato, interpretando le aspettative di tutti gli italiani, anche purtroppo sull’onda emotiva dell’inarrestabile catena di morti e infortunati sul lavoro.
Dopo l’entrata in vigore del Testo Unico era auspicabile un fervore di iniziative, la pronta adozione dei decreti attuativi, il completamento del sistema organizzativo, un rinnovato impegno collettivo per la formazione di una vera cultura della prevenzione.
Purtroppo, con la caduta del Governo, voluta da Mastella dopo l’inizio dei suoi guai giudiziari, il processo che era stato così faticosamente avviato, si è nuovamente, e colpevolmente, bloccato (proroghe, mancata emanazione dei decreti attuativi, …).
E ora il recente provvedimento del Governo Berlusconi rappresenta una sostanziale controriforma e un ribaltamento della “filosofia” del Testo Unico e dei suoi contenuti fondamentali. Una autentica resa agli imprenditori (niente più multe, niente più blocco dell’attività per le aziende fuorilegge che sfruttano il lavoro nero e non rispettano le norme di sicurezza, niente più controlli).
UNA GUERRA NASCOSTA
Ogni giorno in Italia si verificano 2500 incidenti sul lavoro, 3 lavoratori perdono la vita e 27 restano invalidi per sempre (circa un milione di incidenti ogni anno, con oltre 1000 morti).
E dietro ogni cifra ci sono la storia e la vita di uomini e donne, e delle loro famiglie.
Per molti lavoratori, morire o restare segnati per sempre è una eventualità che può verificarsi in qualunque momento. Come in guerra!
Ci sono poi le malattie professionali, provocate dal contatto quotidiano con sostanze tossiche, che uccidono lentamente.
Certi lavori somigliano più ad una trincea che a un diritto garantito dalla Costituzione.
Nei cantieri edili, in particolare, si verifica quasi il 23% degli incidenti, anche se questo settore occupa solo l’8,4% della popolazione attiva; e 1/6 di questi incidenti colpisce lavoratori immigrati, cui di solito vengono affidate mansioni più rischiose, con turni prolungati e scarsa formazione in materia di sicurezza.
Anche la precarizzazione del lavoro incide negativamente sulla sicurezza: si verificano sempre più spesso situazioni in cui lavoratori inesperti e non sufficientemente preparati vengono utilizzati per attività anche molto pericolose, con la conseguenza che i lavoratori “temporanei” sono 2-3 volte più a rischio di quelli stabili.Alcune delle più efficaci misure del Testo Unico voluto da Prodi e Napolitano sono state eliminate o pesantemente ridimensionate: diritto al risarcimento dei danni delle vittime degli infortuni sul lavoro, rivisitazione del sistema sanzionatorio, responsabilità penale del datore di lavoro. La nuova norma introduce una deroga al principio generale in tema di responsabilità penale per omissione (affermato dall’art. 40 c. 2 del codice penale), per cui “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.
In generale è stato deciso dal governo Berlusconi un rilevante abbassamento del livello di protezione dei lavoratori, talvolta in contrasto con le norme comunitarie in materia, e in particolare con la direttiva quadro 89/391/CE. Inoltre sono stati introdotti eccessi di delega, con la violazione della regola sancita nel D.Lgs. n. 123/07 del divieto di abbassamento dei livelli di tutela, e spesso con modifiche contrastanti con altre parti del nuovo Testo Unico.
In particolare le responsabilità del datore di lavoro o del dirigente in caso di morte o infortunio sono state ridimensionate se l’evento è imputabile al fatto colposo di un preposto (progettista, fabbricante, fornitore, installatore, medico, lavoratore, …), cioè al fatto di uno qualsiasi degli altri soggetti operanti nel contesto produttivo. In questo modo è stato svuotato di significato l’obbligo di vigilanza, in capo al datore di lavoro, in ordine al corretto espletamento da parte di tutti i soggetti delle funzioni loro assegnate.
Ma quello che è davvero grave e pericoloso è il significato simbolico di queste modifiche: in una legislatura in cui la politica del Governo in materia penale è tutta tesa ad un generale inasprimento delle pene (pensiamo all’immigrazione, alla circolazione stradale, alle molestie, ecc.), la sicurezza sul lavoro è il settore in cui invece più si ritiene di modificare al ribasso il carico sanzionatorio, con la conseguenza che la giustizia diventa più dura nel colpire il singolo, spesso in situazioni di emarginazione, ed è morbida invece se c’è il rischio di colpire gli interessi di chi detiene il potere, anche quando sono in gioco beni giuridici di importanza primaria, come la salute, il lavoro, la dignità della persona umana e la stessa vita.
Infatti, con le modifiche introdotte, diventa più difficile chiamare a responsabilità, in caso di infortunio, i datori di lavoro, mentre per i lavoratori le pene sono spesso aumentate.
Anche in questo caso non è tanto e solo questione di misura, quanto del messaggio che si trasmette, favorendo la convinzione che in definitiva, in moltissimi casi le maggiori responsabilità sono delle stesse vittime o comunque dei lavoratori nel loro complesso. Un messaggio che, da sempre, va di pari passo con quello – altrettanto nefasto – relativo alla “fatalità” degli infortuni. In un momento in cui l’opinione pubblica è stata più volte colpita dalla gravità di alcuni fenomeni particolarmente drammatici, e mentre si dovrebbe tendere, come richiesto da tutti e più volte sollecitato anche dal Presidente della Repubblica, alla corretta e convinta applicazione di una normativa faticosamente unificata e definita col Testo Unico, ci sarebbe bisogno di ben altri messaggi in favore della formazione di una vera e diffusa cultura della prevenzione.
Figura 1: Lavorare "in sicurezza"!
Non dovrebbe esservi nessuna attenuante per chi, consapevole del rischio cui è sottoposto un lavoratore, pur essendovi obbligato dalla legge, non fa nulla perché quel rischio sia evitato o ridotto al minimo.
Invece tutto quello che riguarda la sicurezza viene visto dai datori di lavoro solo come una spesa aggiuntiva e, nonostante un quadro normativo che teoricamente dovrebbe dare garanzie sufficienti (dai DD. Lgs.vi 626/94 e 494/96 fino al T.U. del D.Lgs. 81/2008), gli infortuni sono ancora una piaga che sembra inevitabile, soprattutto per la scarsità dei controlli, e soprattutto nei piccoli cantieri e nelle fabbriche ed officine artigianali o a conduzione familiare.
In occasione della bonifica dall’amianto di un grande edificio per uffici a Napoli, di cui mi sono occupato come direttore dei lavori, la presenza costante degli ispettori della ASL, sia in fase preliminare che esecutiva, anche con un approccio più “da consulenza” che di vero e proprio controllo, e che quindi fu percepito in modo non coercitivo, o semplicemente sanzionatorio, dall’impresa e dagli operai, la sicurezza fu la priorità, e non si verificò nessun infortunio, né rilascio di fibre di amianto oltre i limiti consentiti. Naturalmente, anche in quel caso, non fu possibile eliminare ogni rischio, ma, come sempre dovrebbe avvenire, si fece tutto il possibile per proteggere la salute degli addetti ai lavori e degli abitanti della zona, anche se i tempi di lavoro furono più lunghi di quelli contrattualmente stabiliti, ma da parte della committenza non fu mai esercitata alcuna pressione, né sull’impresa, né sull’organo di controllo, per aumentare i ritmi di lavoro.
L’integrità e la sicurezza di un uomo, e la dignità dei lavoratori, dovrebbero essere sempre più importanti di un qualsiasi aumento di produttività o di qualsiasi obbligo contrattuale.
Figura 2: ponteggio completamente non a norma, ma con dei "corni" scaramantici come presidio di sicurezza.Troppo spesso, invece, la sicurezza dei lavoratori, soprattutto dove e quando diritti negati e sfruttamento sono la regola, viene spesso sacrificata al profitto dei datori di lavoro.
In nome del guadagno, imprenditori, tecnici ed amministratori con pochi scrupoli, mettono in atti o tollerano sistemi produttivi che sfruttano manovalanza e risorse naturali, senza regole e remore, introducendo nei processi sostanze chimiche tossiche e cancerogene, che avvelenano sia i lavoratori che i destinatari finali del prodotto.
E, in questa situazione, aggravata sempre più dal decadimento morale della nostra società, alimentato dal degrado dell’ambiente che ci circonda, sembra che siano normali anche gli infortuni sul lavoro, ci si indigna sempre meno, e ci si abitua sempre più a pensarli come un inevitabile “effetto collaterale”.
Così, di lavoro si continua a morire, così come si muore per lo svilimento delle strutture sanitarie pubbliche a favore di quelle private, che riducendo i costi per massimizzare i profitti, spesso sono anche peggiori di quelle pubbliche, mentre l’evasione fiscale e contributiva continua a sottrarre risorse alla collettività.
Intanto i mezzi di informazione, televisione in testa, continuano a diffondere notizie angoscianti e spot pubblicitari sempre più sofisticati ed “aggressivi”, costruendo da un lato paura, insicurezza, incertezza e diffidenza, che servono a giustificare politiche sempre più repressive e invadenti, e dall’altro bisogni e domanda di merci, per sostenere la crescita economica e far aumentare i profitti delle multinazionali.
Oggi però c’è la chiara sensazione che il mito del mercato che si auto regola e della crescita economica stiano crollando insieme alle tante aziende che stanno fallendo; e infatti l’Italia è ferma, dal punto di vista economico, ma non è detto che ciò sia un male e non, invece, un’opportunità.
E’ auspicabile infatti che si rinunci all’idea di crescita illimitata e che si avvii la costruzione di una società più sobria che, pur senza rinunziare al benessere, elimini gli sprechi, ridimensioni i consumi, recuperi risorse, spinga sulle energie rinnovabili e modifichi il sistema produttivo, in modo che sia più rispettoso della salute e sicurezza dei lavoratori e dei consumatori, oltre che dell’ambiente.
E’, questa, la “decrescita felice” e la “transizione” di cui parlano da tempo Latouche e tanti altri. E non si tratta solo di economia.
Se vogliamo salvare il Paese dalla bancarotta, e il mondo dalla catastrofe (l’attuale ritmo di sviluppo e di logoramento delle risorse, e l’accelerazione della produzione e dei consumi di beni non necessari, stanno pregiudicando il futuro del pianeta), è necessaria una rivoluzione culturale.
Scuotendoci dalla rassegnazione passiva e liberandoci da egoistici opportunismi, dobbiamo abbandonare il mito della crescita senza limiti, e rifiutare l’idea che l’arricchimento personale possa essere un fine che giustifichi ogni mezzo e nefandezza.
Dobbiamo togliere centralità all’economia e al mercato, e restituirla all’uomo: solo così potremo perseguire una più equa distribuzione delle risorse, e inoltre avremo anche cantieri e fabbriche più sicure e meno infortuni e morti, ma anche prodotti meno pericolosi per i consumatori.
Figura 3: Stati Uniti - colazione di lavoro sospesa!
Investimenti appropriati in ricerca, tecnologia e formazione, da erogare solo alle imprese corrette e rispettose delle regole, devono sostituire i finanziamenti a pioggia, ed è fondamentale un miglioramento dell'efficacia dei controlli delle istituzioni pubbliche. E’ questo il presupposto indispensabile anche per la sopravvivenza delle aziende, che dovrebbero competere sul mercato puntando sull’innovazione e non sulla precarizzazione ed esasperazione dell’impegno dei lavoratori, perché ciò porta poi a stanchezza e riduzione dei livelli di attenzione, favorendo gli infortuni sul lavoro (sono stati pubblicati recentemente dati preoccupanti sulla pericolosa diffusione delle droghe sui luoghi di lavoro, spesso utilizzate, e tollerate, per sopportare i terribili ritmi di lavoro oggi richiesti in alcune fabbriche o nei cantieri).
Imprenditori ed artigiani devono acquisire consapevolezza sulle conseguenze ambientali, economiche e sociali di ogni loro attività, devono sentirsi pienamente responsabili della salute e sicurezza dei loro prestatori d’opera, ed avere coscienza di svolgere un ruolo di interesse collettivo, e non solo un’attività finalizzata al profitto.
Lo sviluppo economico non deve prescindere dal rispetto per l’ambiente e dell’integrità, fisica e morale, della persona umana, la cui difesa deve condizionare ogni decisione legislativa e amministrativa, ma anche le scelte e le azioni degli imprenditori.
sabato 27 febbraio 2010
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- Questo è il mio blog più personale. Sono un ingegnere, laureato nel 1990 presso l'università degli studi di Napoli, orgoglioso dipendente della P.A., felice di poter svolgere un servizio di pubblico interesse, ed impegnato anche nella diffusione delle tematiche che più mi appassionano: difesa dei BENI COMUNI, sostenibilità, bioarchitettura, protezione civile, partecipazione democratica ed etica sociale e professionale.
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